Una nuova matricola in Piazza Affari è un evento talmente raro che val la pena raccontarlo. La protagonista è McLink, società trentina che si occupa di servizi di data center, telecomunicazioni e connettività per le imprese, sbarcata oggi sull’Aim, il segmento dedicato alle Pmi che ha snellito gli oneri e le procedure (5 mesi) per le imprese che decidono di raccogliere capitali freschi sul mercato. Alle 16.30 il titolo è in asta di volatilità per eccesso di rialzo a quota 8,6 euro per azione, dai 7,5 euro di questa mattina (+12,4%). Secondo i dati di Borsa Italiana, Mc-Link ha raccolto 2,62 milioni in fase di collocamento, con un flottante post quotazione pari al 10% su una capitalizzazione totale di 24,75 milioni di euro.
A guardare i conti relativi al primo semestre 2012, Mc-Link – che detiene una piccola partecipazione in Trentino Ngn, società promossa dalla Provincia di Trento e da Telecom Italia per lo sviluppo di reti a banda ultralarga – evidenzia un utile di 362mila euro, in crescita rispetto ai 215mila di fine 2011, ricavi a quota 15,7 milioni di euro (14,6 milioni al 31 dicembre 2011) e debiti in salita a 35 milioni di euro rispetto ai 31 del 31 dicembre 2011.
L’anno scorso, a parte la maison Brunello Cucinelli, sono state sei le ammissioni registrate – con una raccolta complessiva di 1,2 miliardi – ma il bilancio è in perdita: 13 società si sono infatti ritirate, tra cui Sea, la società aeroportuale controllata dal Comune di Milano che gestisce gli scali di Linate e Malpensa. Tra i delisting di peso del 2012 va annoverato quello di Benetton, dettato da una riorganizzazione complessiva delle società della famiglia, che sembra aver puntato più sul business infrastrutturale, aprendo a inizio anno il cantiere della fusione carta contro carta tra Gemina, la società a cui fa capo Adr, che gestisce l’aeroporto di Roma Fiumicino, e Atlantia, azionista di maggioranza di Autostrade per l’Italia.
La prima Ipo del 2013 va salutata anche alla luce del terreno perso costantemente da Piazza Affari, ormai una succursale della London Stock Exchange, la borsa di Londra. Tanto che, a più riprese, si è parlato – e se ne riparlerà da venerdì prossimo, quando entrerà in vigore la Tobin Tax, la tassa sulle transazioni finanziarie – di una vera e propria fusione con la sorella maggiore Oltremanica.
In un report sulla Borsa pubblicato lo scorso ottobre, Mediobanca – che ha accompagnato decine di società alla quotazione – traccia un quadro desolante. Dal 1861, anno in cui Palazzo Mezzanotte ha aperto i battenti alle grida, a oggi si sono quotate soltanto 6,5 società l’anno, mentre 4,8 hanno abbandonato i mercati regolamentati. Capitolo altrettanto preoccupante concerne la capitalizzazione: se nel 2002 era il 36,4 del Pil, al giugno scorso era sceso al 25 per cento. Tanto per dare un termine di paragone, nel 2002 la borsa di Londra valeva il 107% del Pil, oggi l’82 per cento, quasi quattro volte tanto. Al netto della crisi, sono numeri che fanno riflettere. In una recente intervista a Repubblica, il numero uno di Piazza Affari, Raffaele Jerusalmi, ha professato ottimismo dicendo di aspettarsi «tra le 10 e le 15 Ipo». Si vedrà, oltre al problema culturale degli imprenditori che non si fidano del mercato, ce ne sono molti altri che riguardano i costi e la burocrazia del processo. È qui che il nuovo esecutivo dovrà intervenire.