In questa campagna elettorale che è ormai entrata nella sua fase più calda, il tema dei temi è certamente rappresentato dalla parola “crescita”. Come far crescere la nostra economia? Quali ricette adottare?
Ma forse potremmo partire da un altro punto. E se invece di far “crescere” la nostra economia, provassimo innanzitutto a farla “emergere”?
È di oggi l’ennesima notizia ad aver colpito la mia attenzione su questo tema: la riporta Il Messaggero, che racconta degli scioccanti esiti delle ispezioni effettuate nei giorni scorsi dalla Guardia di Finanza in 250 imprese sul litorale romano. Un lavoratore su due è risultato essere fuori norma: su un totale di 1.100 lavoratori controllati, 340 sono “in nero” (quindi del tutto inesistenti per lo Stato) e 207 sono “irregolari” (non godono appieno dei diritti contrattuali e/o di retribuzione). Delle 250 imprese controllate, 161 sono risultate irregolari, una quota pari ben al 64%. E il fenomeno, tra l’altro, è risultato essere del tutto trasversale rispetto alla tipologia di imprese: vi sono bar, ristoranti, imprese edili, imprese di pulizie, autolavaggi, ecc…
Secondo il presidente dell’ISTAT Giovannini, l’economia sommersa nel nostro paese vale 272 miliardi di euro, pari al 17% del PIL (percentuale che sale al 20% se si esclude il settore pubblico). La stima è riportata nel rapporto “Noi Italia” presentato a Roma lo scorso 22 gennaio.
L’economia sommersa rappresenta uno dei principali problemi per la finanza pubblica, sottraendo a noi tutti risorse che sappiamo quanto sarebbero necessarie. Ma non solo. Come dimostrato da Mantegazza, Pisani e Viviani, l’economia sommersa rappresenta un freno allo sviluppo economico, a causa dell’evidente calo di produttività (-2,04% nelle imprese sommerse tra il 2001 e il 2008, contro il -0,59% nelle imprese regolari). Ma non solo. È’ una questione di legalità. È una questione di equità. È una questione di civiltà.
I sistemi e le proposte per favorire l’emersione sono molti: dalla limitazione all’utilizzo del contante (tema forte di Bersani, del tutto condivisibile), al completamento della normativa antiriciclaggio (cosa aspettiamo?), a strumenti di controllo più invasivi (il fine, in questo caso, giustifica assolutamente il mezzo), al rafforzamento di sistemi di trasparenza (su cui personalmente sarei integralista, a costo di limitare i diritti di privacy), a meccanismi di premialità (su cui sono molto più scettico).
E poi, certo, c’è chi propone il condono…