Le cinéma autrementThe Sessions. Gli appuntamenti

Dove si parla di trailer. Esce oggi nelle sale italiane The Sessions, il film del regista australiano Ben Lewin ispirato alla vita del poeta e scrittore Mark O’Brien e sceneggiato a partire da un ...

Dove si parla di trailer.

Esce oggi nelle sale italiane The Sessions, il film del regista australiano Ben Lewin ispirato alla vita del poeta e scrittore Mark O’Brien e sceneggiato a partire da un suo articolo, On Seeing a Sex Surrogate (1990). Vittima di una forma di poliomielite particolarmente aggressiva, O’Brien ha vissuto dall’età di sei anni in un polmone d’acciaio, costretto all’immobilità da una paralisi pressoché totale di tutti i muscoli volontari del corpo. Quando i bisogni dell’età adulta hanno cominciato a manifestarsi, ha scelto di assecondarli rivolgendosi a chi meglio poteva venire incontro alle sue necessità: una terapista sessuale (per parlare di sesso) e un surrogato sessuale (per provare a farlo).

Il film racconta la storia di queste sedute.

All’inizio avevo in mente una recensione tradizionale, che valorizzasse i pregi del film: quant’è espressiva Helen Hunt nell’interpretare Cheryl (il surrogato), quanto è divertente John Hawkes mentre interpreta O’Brien che fa ironia su se stesso, quanto è anni Ottanta il prete cattolico confessore di O’Brien (William H. Macy) con quella pettina a onde lunghe, e le camicie californiane. Nel cercare materiali per il pezzo son finita a confrontare i due trailer, quello in lingua originale destinato al mercato anglofono, e quello in lingua italiana confezionato per il pubblico nostrano.

Ebbene, mi sono trovata davanti a due film completamente diversi.

Senza entrare nel merito dell’opportunità di doppiare un film, è inevitabile che nell’adattamento alla versione italiana qualcosa vada perso o modificato rispetto all’originale – solitamente, qualche modifica ai riferimenti socioculturali nei dialoghi. Tuttavia, quelli che passano per semplici accorgimenti tecnici spesso alterano pesantemente i significati originari del film. Nel caso di un prodotto con scopi persuasivi come il trailer, è interessante vedere come cambiamenti minimi dicano molte cose sull’idea che le compagnie di distribuzione hanno del pubblico cui è destinato, e dei mezzi usati per solleticarne la curiosità.

Qui trovate il trailer in lingua originale, qui quello in lingua italiana. È un po’ laborioso guardarli uno dietro l’altro, ma alcune differenze saltano all’occhio.

Basta guardare i primi venti secondi. Da dove esce il rock’n’roll? E il gatto? Se avrete la curiosità di guardare il film per intero (e in lingua originale), vi accorgerete poi che Mark O’Brien non ha mai scritto annunci per trovare ‘svaghi sessuali,’ e si contano sulle dita di una mano le volte che usa il turpiloquio. Tuttavia, il trailer italiano cattura l’attenzione lanciando gli ami che da sempre tirano: sesso (stampigliato a caratteri netti) e volgarità (la sequenza si conclude con un sonoro “Merda!”).

E ancora, perché nel trailer italiano il rapporto tra Mark e il suo parroco è sempre presentato in termini condiscendenti – a suon di sospiri, mani nei capelli e sopracciglia inarcate durante le confessioni? Perché non è presentata chiaramente la posizione del sacerdote nei confronti della scelta di Mark?

Stupefacente, poi, è la leggerezza con cui viene introdotto il personaggio di Helen Hunt / Cheryl, il surrogato sessuale. Tutti gli attributi professionali (inclusa la differenza tra terapista e surrogato) sono trascurati, ma – attenzione! – nel trailer italiano non ci facciamo mancare un paio di secondi in cui la vediamo in reggiseno e mutandine, sempre per catturare l’attenzione di cui si parlava pocanzi.

Infine, i momenti comici e umoristici. Perché cancellare una battuta efficace e divertente sull’orgasmo simultaneo e introdurre una discutibile, infantile esclamazione rivolta alla Madonna? Come se accostare sacro e profano sia sufficiente per scatenare le risate..

[se volete un’analisi scena per scena, l’ho messa qui.]

Ma che senso ha accanirsi su un trailer, direte voi?

Mettiamola così: ogni paese ha il trailer che si merita. Chiediamoci che tipo di immagine della disabilità, del sesso, della donna, della chiesa cattolica sono veicolate nella versione italiana di The Sessions. E poi, chiediamoci perché le persone che hanno costruito questo tipo di immagini hanno pensato che potessero vendere in Italia più che in altri paesi. Anche un prodotto artistico marginale come due minuti e mezzo di sponsor per un film è in grado di esprimere e insieme plasmare il terreno di coltura di una società. Spesso, senza che neppure ce ne accorgiamo.

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