Con l’inizio della battaglia elettorale, la questione “No Tav” è retrocessa di posto nell’agenda mediatica del nostro Paese, eppure rimane cruciale e apertissima, anche dopo le recenti precisazioni del governo francese che hanno smentito un calo di entusiasmo ed interesse nei confronti dell’opera.
Fra le varie pubblicazioni che hanno analizzato sinora la vicenda e ne hanno ripercorso tutte le tappe, s’inserisce anche il contributo a fumetti di Becco Giallo, leader italiano del graphic journalism. “Dossier Tav. Una questione democratica”, disegnato da Claudio Calia, rivisita, infatti, dal proprio punto di vista (militante), tutta la storia dell’opposizione al Tav – che, ovviamente, prevede molti capitoli ancora da scrivere – partendo dal principio, ossia dal suicidio, in carcere, di “Sole” e “Baleno”, nell’ormai lontano 1998, per passare agli eventi drammatici più recenti come la caduta dal traliccio dell’alta tensione di Luca Abbà. Si raccolgono, inoltre, le apparizioni mediatiche, dal maggiore carico simbolico, dei favorevoli e degli oppositori alla grande opera. Da una parte: ovviamente il premier Monti, le lacunose risposte del segretario Bersani nella trasmissione “Servizio Pubblico” di Michele Santoro, il magistrato Giancarlo Caselli in veste di “tutore dell’ordine pubblico”; dall’altra: l’ex magistrato “militante” Livio Pepino, al centro di un’aspra polemica con il deputato Stefano Esposito del PD, ultrà del “Sì Tav”, il leader del movimento Alberto Perino e l’intervista di Sandro Ruotolo, sempre in “Servizio Pubblico”, a quel manifestante che fu inghiottito da una tempesta mediatica per aver apparentemente provocato un carabiniere.
Proprio in questi giorni, è uscito “A Sarà Dura”, di DeriveApprodi – casa editrice vicina a Rifondazione Comunista –, curato da Askatasuna, l’ormai famoso, a livello nazionale, centro sociale di Torino che sostiene da sempre la battaglia contro il Tav. Per molti, la frangia violenta del movimento o quella che ne alimenta la violenza, per molti altri un filtro indispensabile per mediare con le rivendicazioni e le azioni più estreme.
In queste 318 pagine, si raccontano le ragioni di un movimento che, nonostante la frastagliata composizione sociale e culturale, è riuscito a tradursi in una resistenza di massa. Per gli autori del libro, il movimento interpella il senso di alcune parole della politica, declinandole con nuovi significati: cos’è un'”istituzione”, quando essa assume il volto della repressione di un’intera comunità? Cos’è la “democrazia”, quando il parere del “maggior numero” viene del tutto ignorato? Cos’è lo “sviluppo”, quando l’infrastruttura proposta è mera speculazione? Cosa sono le “risorse”, quando il Tav appare come un gigantesco e insensato consumo di risorse naturali? Per le popolazioni della Val di Susa, insomma, è anzitutto in gioco un diverso modello di società, di economia e di politica.
In realtà, di movimenti assomiglianti a quello “No Tav” ce ne sono molti altri in Italia, soltanto che non riescono ad ottenere il medesimo clamore mediatico. Ha il merito, quindi, di darvi voce il nuovo libro della casa editrice alternativa Intra Moenia intitolato proprio “No Tav d’Italia” che raccoglie diversi contributi ed immagini riordinati da Anna Pizzo e Pierluigi Sullo, l’ex direttore della rivista “Carta”. Un volume che è il risultato dell’impegno di Democrazia Km Zero (DKm0) (democraziakmzero.org), un nutrito gruppo di persone e attivisti “che promuove la circolazione di fatti e idee attorno alla ricerca di una nuova economia e di un’altra democrazia”. Queste 250 pagine si rivelano, quindi, una piccola enciclopedia dei movimenti Nimby italiani, dove “nimby” sta per “not in my backyard”, “non nel mio giardino”, un’accezione di origine inglese per indicare, appunto, le opposizioni locali ad opere infrastrutturali sgradite (grandi vie di comunicazione, cave, sviluppi insediativi o industriali, termovalorizzatori, discariche, depositi di sostanze pericolose, centrali elettriche e simili): in realtà, con questa etichetta si identificano atteggiamenti che, pur riconoscendo come necessari, o comunque possibili, gli oggetti del contendere, non li vogliono assolutamente nel proprio territorio a causa delle eventuali controindicazioni sull’ecosistema locale.
Anche Il Mulino, seppur qualche mese prima, ha fatto uscire “Non nel mio giardino. Prendere sul serio i movimenti Nimby”, in cui si cerca di capire se tutti questi gruppi, che possono apparire schierati contro “il progresso”, portano con sé delle ragioni valide, al posto di liquidarli, come fa certa stampa, come gruppi di facinorosi violenti o come oscurantisti ed egoisti pronti a tutto per difendere il loro pezzo di terra a scapito del bene comune.
E, così, oltre ai movimenti “No Tav” della Val Susa e di Firenze e contro la base americana nel Dal Molin che sono riusciti a conquistar, seppur a gradazioni differenti, la visibilità mediatica, finiamo per fare conoscenza pure di tutte quelle facce e ragioni a protezione di altri pezzi del territorio italiano: “No Tem” contro l’ennesima autostrada in Lombardia, la tangenziale est esterna di Milano, i “Cat” (Comitati Ambiente Territorio) contro le autostrade tra Mestre e Padova, il “No Grandi Navi a Venezia”, per non ripetere la tragedia dell’isola del Giglio, i “Comitati Marche” che si oppongono allo spropositato consumo del suolo anche per i previsti insediamenti di grandi centrali elettriche, il fronte composito contro lo smantellamento di Cinecittà, i no alla discarica di Pozzuoli o il comitato promotore del referendum per ottenere la prima grande spiaggia pubblica a Napoli (www.unaspiaggiapertutti.it).
A tutti questi, si dovrebbe aggiungere la questione “M.O.U.S.” visto che i volantini contro questo progetto faraonico hanno raggiunto il nord Italia, sebbene si tratti di una battaglia che parte dalla Sicilia, esattamente da Niscemi, in provincia di Caltanissetta. Il M.U.O.S. (Mobile User Object System) è un sistema di comunicazione militare ad altissima frequenza, composto da tre trasmettitori parabolici basculanti con un diametro di 18,4 metri e due torri radio alte 149 metri. Un modernissimo radar delle forze armate statunitensi capace di raggiungere i contigenti a stelle a strisce in qualsiasi area del mondo si trovino ad operare, al fine di coordinare sottomarini, aerei senza pilota e i nuovi robot da guerra. La comunicazione tra i soldati sul campo di battaglia, i loro comandanti sul posto e lo Stato Maggiore centrale, infatti, non è assolutamente cosa semplice e richiede tecnologia sempre più aggiornata e capillare. Per questo il M.U.O.S. è stato ideato già nell’ormai lontano 1999 per poi essere progettato nel 2004. Detto in parole molto semplici, non è altro che l’applicazione della tecnologia satellitare al sistema che tutti noi usiamo, ogni giorno, con i nostri telefoni cellulari. Sinora, ne sono stati installati tre, attualmente in funzionamento, in luoghi desertici di Virginia, Hawaii e Australia.
Gli americani ne vorrebbero, quindi, costruire uno nuovo nella base NATO di C.da Ulmo, all’interno della riserva naturale “Sughereta di Niscemi” (www.ceaniscemi.it/sughereta), sito di importanza comunitaria. Un proposito che si è configurato da subito, per gli abitanti dell’area, come una micidiale minaccia visto che l’installazione sorgerebbe a soli due km dal comune ed in una zona già residenziale…Effettivamente c’è da allarmarsi dato che il fascio di microonde sarebbe in grado di raggiungere i 135 km di ampiezza ed è ormai appurato, nonostante le lacune e le omissione di numerose ricerche, che i rischi (almeno) potenziali causati dalle onde elettromagnetiche sono tumori, leucemie, malformazioni fetali, melanomi, linfomi, infarti, variazioni del sistema immunitario e del sistema nervoso centrale, ustioni interne, vertigini, depressione, insonnia.