No, non è gusto per il vintage. E’ semplice presa d’atto di una verità: le cose del calcio di 35 o 40 anni fa erano bellissime. E dire che a me l’ultimo libro di Francesco Guccini Dizionario delle cose perdute – un elenco ragionato di abitudini e oggetti che non ci sono più, dai vecchi pennini alla pompetta del Flit – non era neanche piaciuto. Però – dentro – ci avrei visto bene le vecchie divise delle squadre, gli scarpini neri della Pantofola d’oro e i basettoni di Johnny Rep. Sì, adesso si va giù duro di merchandising e di creste col gel. Ma volete mettere la zazzera di Sileno Passalacqua e il portachiavi delle Feramascotte? Poesia.
Tanto per cominciare un tempo la maglia “ufficiale” della squadra ce l’avevano in pochi. Ora invece la puoi comprare nei negozi della Società e l’effetto inflattivo è sotto gli occhi di tutti: la indossa pure tuo nonno come pigiama, in lungodegenza. Qui a Genova, per esempio, il GenoaStore e il SampdoriaPoint sembrano progettati da un interior designer. E’ tutto un sacco figo, gli addetti portano la cravatta che manco a un congresso di informatori scientifici e le ragazze – cosa da non disprezzare – c’hanno un significativo stacco al garrese. Sugli scaffali agendine, penne, apribottiglie, orologi, spillette, boxer, astucci, portaocchiali. Pure la “pashmina blucerchiata” vendono.
Comunque si parlava di maglie. Era un mondo di lana maledettamente attillato, quello di 35-40 anni fa. Il Cagliari aveva la casacca coi laccetti, imperava il girocollo e implacabili risaltavano le panze. Ora i tessuti sono tecnici e di una leggerezza impalpabile, ma è come se avessero perso la gravità delle cose vere. Le divise da trasferta erano tutte bianche coi bordini dei rispettivi colori sociali. Se eri la Ternana avevi il colletto rossoverde, se eri il Perugia rosso (ma ho sempre pensato che il marrone chiaro fosse una tonalità più adeguata).
E poi c’è il “vasto programma” della numerazione. So che non sono il primo a sollevare la questione, ma un tempo si andava dalla 1 alla 11. Il 2 era il terzino destro e l’11 – l’ala sinistra –affiancava il centravanti con il 9. L’8? Non ci sono più le mezzeali di una volta, signora mia. Prevaleva il senso della squadra e del collettivo. I giocatori non erano proprietari della casacca: potevi essere Rivera, ma il 10, se eri infortunato, poteva capitare anche a un ragazzo della Primavera.
Gli scarpini? Erano semplici, essenziali, tutti neri che parevano calabroni. Quasi monacali. Li portavano anche in chiostro nelle partite tra Francescani e Cistercensi. Adesso ai piedi dei giocatori c’è un’iridescenza agghiacciante. Scarpe fucsia, gialle, turchesi, coi tacchetti arcobaleno e le stringhe fosforescenti che pare di stare a Paperopoli. I calzettoni si portano sopra il ginocchio e manca poco che Balotelli metta le giarrettiere come la divina Joséphine Baker.
Vorrei inoltre parlare dei calzoncini. Sono braghe alla zuava, ora: mancano cinque centimetri e diventano pinocchietti. Ma ve li ricordate invece gli slippini ascellari di Puliciclone? Parevano un costume da bagno granata. Riuscivi a vedere il quadricipite femorale in tensione. Adesso il gesto atletico è un effetto di cui ignori la causa. Il calzoncino di 35 anni fa invece era un omaggio al principio di causazione. Paolino Pulici arrivava per primo sulla palla perché c’aveva la reattività dell’adduttore. E tu lo vedevi.
Insomma, il mondo è cambiato. Le facce e i comportamenti non sono più gli stessi. Al 90° Minuto c’è Dossena e i palloni a scacchi sono un oggetto di modernariato. Meglio? Peggio? Boh. Comunque – dopo tutta ‘sta tirata amarcord –un dubbio ti viene. Il problema non è la maglia 99 di Cassano. Il problema sei tu. Perché in fondo lo sai: quello che ti manca veramente non sono la Pantofola d’oro o un calcio più ruspante. Vorresti avere lo sguardo incantato dei tuoi 10 anni. Quello sguardo che ti farebbe preferire la cresta di El Sharawi alla pelata bersaniana di Piero Volpi. Che, per la cronaca, nella Ternana di fine anni 70 giocava libero (non centrale di difesa) e aveva la maglia numero 6.
(su TernanaNews)