Però, quell’idea di Susanna Camusso, segretario generale della CGIL,fiorita quasi per caso in un meeting di Cernobbio, è davvero così impraticabile ed esecranda ? Ha proposto in sostanza di fissare un tetto agli emolumenti pubblici dell’alta amministrazione e alle “pensioni d’oro” e la parte eccedente di corrisponderla in Bot o in titoli di stato a più lunga scadenza.
Sarà certamente piena di difetti ed economicamente fragile, ma almeno è un’idea, un’ipotesi per cercar di smuovere il macigno della enorme spesa pubblica che, finora , nonostante i tanti proclami e le ripetute promesse, cresce ineluttabile e refrattaria a qualsiasi intervento. Dei tanti sacrifici chiesti ed imposti ai contribuenti onesti, alle famiglie e ai ceti produttivi lo Stato è rimasto completamente immune.
Anche la tanto conclamata “spending rewiew” sulla spesa pubblica è rimasta di fatto lettera morta, tranne la scure sugli enti locali. Eppure è ampiamente notorio che nello Stato centrale si consumano risorse e prebende a livelli mostruosi. Ormai esistono diffuse simulazioni secondo le quali non sarebbero necessarie cinque o sei IMU sulla prima casa, se appena si adeguassero agli standard internazionali di tutti gli altri paesi occidentali i compensi dell’alta amministrazione statale e delle sue ridondanti magistrature.
In un Paese nel quale uno stuolo immenso di pubblici funzionari e dirigenti guadagna ben più di Obama, presidente degli Stati Uniti, lo scandalo è talmente evidente, ma, a parte qualche erratica campagna giornalistica, nulla si modifica o si riesce a modificare. Se poi a questo si aggiungono le “pensioni d’oro” (fino a 90 mila euro al mese) si comprende che sotto lo scudo giuridico dei “diritti acquisiti” si continua imperterriti nel saccheggio sistematico dei conti pubblici da parte di corporazioni onnipotenti, mentre la pressione fiscale tocca ormai livelli insostenibili per i ceti produttivi.
D’altra parte ogni tentativo di intervento al riguardo si è dimostrato pressocchè impossibile. Un solo esempio: si è chiesto (o meglio imposto) un pesante contributo di solidarietà a quei benestanti di pensionati sopra i mille euro al mese. Mentre invece un simile contributo è impraticabile per quei “poveri” dirigenti e magistrati che ricevono oltre 150 mila euro l’anno. O meglio: l’aveva imposto Tremonti nell’ordine del 10 % dei compensi, ma la Consulta (con qualche sospetto di una scelta non proprio disinteressata) l’ha prontamente dichiarato “anticostituzionale”, costringendo il tesoro a restituire quel 10 % ai circa ventiseimila soggetti coinvolti.
Di fronte al peso della giungla normativa e della resistenza sempre vittoriosa a colpi di ricorsi a tutte le magistrature e di sentenze sempre a senso unico, ecco che allora “l’ipotesi Camusso” di “stipendi differiti” (con una quota corposa di Bot magari cinquantennali) acquista il sapore di una pratica concretezza, per evitare che l’ingordigia di fortissime componenti corporative della Pubblica Amministrazione scassi i bilanci fino al punto di non ritorno. Può essere anche un segnale etico che includerebbe immediatamente pure gli stretti costi della politica. E non pare che al riguardo (ovvero dei tagli allo Stato) siano sensibili i programmi concreti di tutte le forze in qualche modo associabili al possibile governo.
Finora non si è riusciti a fare nulla, anche perché cala regolarmente la congiura del silenzio e vincono alla fine sempre gli Azzeccagarbugli, che tutelano la palude fangosa dei privilegi. Eppure il “salario differito” non è né uno scandalo e neppure una novità. A chi qui scrive capitò infatti, quando nel lontano 1977 venne assunto al Corriere della Sera con il minimo contrattuale di ritrovarsi per un paio d’anni con un decimo dello stipendio pagato in Bot, come potevano fare allora le aziende private in stato di crisi. Oggi è lo Stato in terribile “stato di crisi”: cominci a fare qualche sacrificio, invece di scaricarlo sempre sulla pelle dei cittadini.