In Italia sono in coma da tempo, o quantomeno, lo sono nel loro formato classico. In Francia, invece, i reality show continuano a fare incetta di spettatori e a finire sulle prime pagine dei giornali. Dopo lo stupido e insopportabile tormentone di Nabilla – giovane e ingenua maggiorata della trasmissione “Les anges de la téléréalité” (Gli angeli dei reality), – capace di ipnotizzare i talk show e i social network d’Oltralpe, tocca alla seguitissima trasmissione “Koh-Lanta” (una specie di Isola dei Famosi senza famosi), in onda sulla prima rete Tf1, finire agli onori della cronaca. Nera.
Lo scorso 22 marzo, Gérard Babin (25 anni), uno dei protagonisti della tredicesima stagione del programma girato in Cambogia, è morto in seguito ad un arresto cardiaco. Ieri un’altra vittima: si tratta di Thierry Costa (38 anni), il medico urgentista che era presente sul set della trasmissione da quattro stagioni e che ha cercato di rianimare il concorrente prima del decesso avvenuto poco dopo il ricovero nell’ospedale di Sihanoukville. Il dottor Costa è la terza vittima nella storia dei reality made in Francia, se si conta il suicidio di Jean-Pierre Nivet, parrucchiere di 32 anni trovato appeso ad una corda nel suo appartamento dopo aver partecipato al reality dal titolo più che eloquente “Trompe-moi si tu peux” (Tradiscimi se puoi) a causa della rottura con il suo fidanzato Hakim.
Se per quest’ultimo caso è stato escluso qualsiasi legame tra l’atto estremo del concorrente e il contenuto del programma televisivo (nonostante il forte stress psicologico a cui venivano sottoposti i concorrenti), sulla doppia tragedia legata a Koh-Lanta è lecito invece porsi dei seri interrogativi. Secondo la ricostruzione pubblicata dal sito Arrêt sur image, infatti, la produzione del programma avrebbe impedito al medico di intervenire subito dopo il malessere che il concorrente avrebbe accusato a seguito della prova del tiro alla fune. Nonostante Gérard fosse caduto immobile nella sabbia e chiedesse aiuto, e nonostante il medico avesse chiesto per ben due volte di poter intervenire, gli autori hanno aspettato almeno 10 minuti prima di concedergli l’autorizzazione per farlo, attendendo il termine della prova. Alla luce di queste notizie, frutto di alcuni testimoni anonimi e rigorosamente smentite da Tf1, risulta quindi piuttosto logico (o quantomeno comprensibile) il gesto estremo del dottor Costa, il quale, sottoposto quindi ad «un’ingiusta gogna mediatica» – come scrive lui stesso nella lettera lasciata alla famiglia – non ha potuto sopportare che il suo nome e la sua professionalità venissero «infangati».
Qual è il confine tra il gioco e il dramma? Fino a che punto è concesso spingersi in nome dello spettacolo?