From Paris with blog“La schiuma dei giorni” di Gondry: missione fallita!

È appena uscito il film francese più atteso dell'anno: "L'ecume des jours" (La schiuma dei giorni), tratto dall'omonimo romanzo culto di Boris Vian (1920-1959). Più che un film, una macchina da gue...

È appena uscito il film francese più atteso dell’anno: “L’ecume des jours (La schiuma dei giorni), tratto dall’omonimo romanzo culto di Boris Vian (1920-1959). Più che un film, una macchina da guerra per sbancare al botteghino, costruita e armata senza badare a spese (costo complessivo dell’operazione: 20 milioni di euro). Eppure, nonostante un battage pubblicitario da far venire quasi l’orticaria (radio, giornali, strade tappezzate di manifesti) e un trailer irresistibile (vedi qui sotto), la pellicola ha debuttato con solo 47mila ingressi in Francia contro i 381mila del diretto concorrente Iron Man 3. Una delusione inattesa, almeno per il momento.

Ma lasciamo perdere l’aridità dei numeri e parliamo del film. Un film che aveva tutti gli ingredienti per riuscire. Forse anche troppi, direbbe chi è abituato alle delusioni che spesso seguono le grandi aspettative. Innanzitutto c’è il soggetto: il libro del poliedrico Boris Vian (cantautore, trombettista, romanziere, poeta e pure ingegnere, suo malgrado) è oramai un classico che, nonostante a suo tempo fosse stato snobbato dalla critica e difeso solo da pochi audaci (tra cui Jean-Paul Sartre e Raymond Queneau), è diventato negli anni uno dei romanzi più amati dai francesi, tanto da finire anche sui banchi di scuola. Vi si racconta la storia di Colin, timido e stralunato perdigiorno, appassionato di Duke Ellington e di belle ragazze, che s’innamora della tenera e affascinante Chloé. Purtroppo quest’ultima si ammala ben presto di una misteriosa e incurabile malattia: una ninfea le cresce nel polmone destro. La vita di Colin e del colorato e strambo universo che lo circonda, fatto di oggetti animati e curiose invenzioni, precipita nel grigiore e nella (non esagero) putrescenza. La stessa sorte tocca al suo cuoco tuttofare Nicolas e all’amico Chick, ossessionato dai libri e dalla personalità del filosofo Jean-Sol Partre.

Considerato impossibile da portare sullo schermo, il testo è stato tuttavia messo nelle mani del regista perfetto: Michel Gondry. Chi meglio di lui avrebbe potuto prestare il proprio talento onirico e visionario a questo film? Purtroppo però il regista francese si è fatto prendere la mano. Troppi oggetti (più o meno animati), troppi effetti speciali, troppe trovate stilistiche e visive (il settimanale Les Inrockuptibles parla addirittura di “colesterolo visivo”) invadono inopinatamente lo schermo nella prima ora e mezza. Questa indigestione di immagini è la mano che compie il delitto perfetto: ammazza letteralmente la storia. I sentimenti e il coinvolgimento emotivo (che rendono il romanzo di Vian commovente e indimenticabile) sono i grandi assenti dell’opera di Gondry, e questo a causa della totale subordinazione dei personaggi (e delle loro vicende umane) ad un ritmo e ad un estetismo visivo che alla lunga risulta addirittura noioso. Peccato, soprattutto perché il cast era anch’esso strabiliante sulla carta: Audrey Tautou (aka Amèlie Poulain) nel ruolo di Chloé, il Romain Duris de “L’appartamento spagnolo” nel ruolo di Colin, e due tra i più famosi attori comici d’Oltralpe (Gad Elmaleh e Omar Sy) nei ruoli di Chick e Nicolas. Se al loro posto – scrive Les Inrockuptibles – ci fossero state delle marionette, sarebbe stato lo stesso.

Nonostante la delusione, paragonabile a quella che provai (io come tanti altri) dopo aver visto l'”Alice” di Tim Burton – anche in quel caso il binomio storia-regista sembrava imbattibile, – non si può rimanere indifferenti di fronte al talento tecnico e all’enorme lavoro di cesello di Michel Gondry, il cui approccio artigianale e vintage agli effetti speciali resta pressoché unico. In più, è da lodare una certa fedeltà alle descrizioni presenti nel libro (che non è stato trasformato in un blockbuster all’americana e che per questo di sicuro non deluderà i fan francesi), ai riferimenti musicali e culturali, alla denuncia del lavoro e della guerra, che sono comunque punti chiave della filosofia e dell’opera di Boris Vian. Resta quindi “solo” un serio problema di scrittura (forse Gondry dovrebbe farsi affiancare da un valido sceneggiatore), il cui risultato è quello di imporre allo spettatore una specie di videoclip di poco più di 2 ore. A volte l’effetto è al limite dell’irritante.

Per chi non conoscesse questo aneddoto, ricordo che Boris Vian morì al cinema, in seguito ad un attacco cardiaco, durante la proiezione dell’odiato adattamento cinematografico del suo romanzo “J’irai cracher sur vos tombes” (Sputerò sulle vostre tombe). Ecco, credo che se avesse visto questo film, probabilmente avrebbe fatto la stessa fine. Consiglio quindi agli spettatori italiani di leggere (o rileggere) il libro prima di andare al cinema. Se proprio non potete fare a meno di andarci.

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