Sull’ex presidente pakistano Pervez Musharraf pesa anche l’accusa di terrorismo. Per questo tra due giorni l’ex uomo forte del Paese dei puri, salito al potere nel 1999 con un colpo di Stato e riparato all’estero quattro anni fa, si dovrà presentare davanti a una corte anti-terrorismo.
Stamattina l’ex generale si è consegnato dopo un giorno di latitanza. Ieri l’Alta corte di Islamabad aveva respinto la richiesta di estendere la libertà condizionata su cauzione concessa all’ex numero uno delle Forze armate prima del suo ritorno a Karachi lo scorso 24 marzo. Già in passato i tentativi di tornare furono rimandati. Su Musharraf pesano le accuse di aver destituito e fatto mettere sotto arresto almeno 60 giudici, tra cui il presidente della Corte Suprema, quando era ancora al potere. E’ inoltre accusato di coinvolgimento negli omicidi nel 2007 della leader dell’opposizione Benazir Bhutto, già premier per due volte negli anni Novanta del secolo scorso cui non garantì sufficiente protezione, e di un leader indipendentista del Belucistan nel 2006.
Ieri alla notizia del no all’estensione delle libertà condizionata, Musharraf era riuscito a fuggire dall’Alta corte, scortato da paramilitari, per rifugiarsi nella sua casa di Chak Shahzad. Si chiude così con gli arresti (domiciliari) una settimana travagliata per l’ex presidente che martedì vide respinta la sua candidature nella circoscrizione di Chitral, l’unica in cui era ancora in lizza per le elezioni dell’11 maggio prossimo alla guida della All Pakistan Muslim League.
L’arresto di Musharraf arriva in un momento delicato per il Paese che si avvicina alla tornata elettorale. Lo scorso marzo, per la prima volta dalla “partition” dall’India, un governo eletto è arrivato alla scadenza naturale del proprio mandato senza subire l’intervento dei militari.
Nelle settimane che hanno preceduto questo traguardo il Pakistan ha tuttavia visto un nuovo scontro tra i poteri: esecutivo, giudiziario e militare. Il governo ha dovuto affrontare la protesta guidata dal religioso Tahir al Qadri contro una classe politica considerata corrotta e inadatta al compito. Negli stessi giorni la Corte suprema chiedeva l’arresto del premier per corruzione. Uno scontro politico giudiziario che affonda le radici nel tentativo del capo della Corte suprema, Iftikhar Muhammad Chaudhry, di colpire il presidente Asif Ali Zardari, conosciuto anche come “signor 10 per cento”, cresta che si dice intascasse già ai tempi in cui era soltanto il marito della defunta premier Benazir Bhutto.
In un commento su Facebook lo stesso Musharraf sosteneva che la mancata cauzione potrebbe generare nuove tensioni “di cui non c’è bisogno” e destabilizzare il Paese. In molti vedono tuttavia il caso come la fine dell’impunità per personaggio un tempo considerati intoccabili. Merito che spetterebbe prima di tutto alla Corte suprema.
Come scrive l’Asia Times Online, il processo contro l’ex presidente potrebbe essere un vaso di Pandora, dal quale usciranno anche altri nomi, come quello dell’attuale capo dell’esercito, il generale Ashfaq Pervez Kiani. Sarebbe un precedente che equivarrebbe a riaffermare il principio dell’incostituzionalità di un colpo di Stato e quindi della necessità di processare per tradimento un dittatore militare che rovesci la democrazia. Un’ovvietà, ma non in Pakistan.