Alcuni spunti sembrano emergere da settimane di confronto tra Corea del Nord e comunità internazionale. A cavallo tra l’inverno e la primavera, in concomitanza con le annuali esercitazioni congiunte tra statunitensi e sudcoreani o con l’avvicinarsi dell’anniversario dalla nascita dell’eterno presidente Kim Il-sung il 15 aprile e prima a febbraio di quello del caro leader Kim Jong-il, Pyongyang alza il livello dello scontro.
La reazione di forza statunitense e le esercitazioni che dureranno fino alla fine di aprile sono state forse inaspettate per il regime, il cui fine ultimo è preservare il proprio potere. Da questo il crescendo delle provocazioni e delle minacce. E in occasione delle celebrazioni per il nonno dell’attuale leader Kim Jong-un, il regime potrebbe decidere di festeggiare con un botto particolare: un missile a medio raggio capace, in teoria di colpire Guam.
Secondo spunto. Quello che al momento è uno scontro retorico tra Stati Uniti e Corea del Nord potrebbe trasformarsi in una rottura tra Pyongyang e l’alleato cinese. Ieri è circolata la notizia secondo la quale un funzionario dell’esercito cinese avrebbe sostenuto che Pechino non ha più controllo sul giovane Kim Jong-un. Pechino è stato a lungo l’unico puntello del regime cui però non sono state risparmiate bordate.
Non a caso, le accuse contro il Consiglio di sicurezza Onu di essersi piegato “all’imperialismo Usa”, per l’approvazione delle sanzioni contro il test nucleare del 12 febbraio, non risparmiano la Cina rea di non aver fatto valere il proprio diritto di veto e al contrario di aver votato sì.
Nella dirigenza cinese ci si divide tra i fautori della tradizione, la vecchia guardia che vede la Corea come uno stato cuscinetto, da sostenere perché funzionale ai propri interessi, e quanti invece sostengono che ormai questi interessi siano messi a rischio dalle intemperanze di Pyongyang.
D’altronde l’atteggiamento nordcoreano si sta rivelando l’alibi per il proseguimento della strategia statunitense verso l’Asia cui stanno facendo da corollario i posizionamenti di sistemi d’arma nella regione come quello antimissile a Guam o il potenziamento degli intercettatori in Alaska .
Come uscirne? Secondo molti lo sbocco sarà un incidente. Magari il ripetersi di un episodio come l’affondamento della corvetta sudcoreana Cheonan a marzo del 2010, costato la vita a 46 marinai.
O come a novembre dello stesso anno il bombardamento dell’isola di Yeongpyeong che fece quattro morti, di cui due civili. Entrambi nella contestata linea marina decisa dall’Onu. Anche per questo forse, secondo alcuni osservatori, il patto tra Seul e Washington che prevede l’intervento statunitense anche in caso di conflitto minore può servire da deterrente.