Parlare con i limoniVolevamo la rivoluzione

Sono solo pochi mesi ma sembra passato un secolo dal giorno delle ultime elezioni.  Arrivammo al voto dopo un autunno pieno di speranza. Tanti piccoli segnali sembravano aprire la strada ad una nuo...

Sono solo pochi mesi ma sembra passato un secolo dal giorno delle ultime elezioni.


Arrivammo al voto dopo un autunno pieno di speranza. Tanti piccoli segnali sembravano aprire la strada ad una nuova Italia. Il M5S irrompeva sulla scena con tutto il suo carico di novità. Il PD che sceglieva i suoi candidati attraverso lo strumento delle primarie raccogliendo una grande partecipazione popolare. E non solo gli aspiranti premier ma anche buona parte dei parlamentari furono scelti dal basso mentre due residui del passato come D’Alema e Veltroni annunciavano il loro addio alla politica (addio solo di facciata come abbiamo scoperto dopo).

Il PDL e Berlusconi erano allo sbando, si attorcigliavano sul dilemma primarie si/primarie no, Berlusconi si/Berlusconi no. Il partito che aveva dominato gli ultimi vent’anni era lacerato dalle lotte intestine e sembrava destinato a morire presto. Insomma, sembrava fatta: finalmente arrivava la tanto sognata “Terza Repubblica”: uno Stato finalmente deberlusconizzato e moderno, pronto a ripartire dopo la Grande Crisi.

Poi uscirono i risultati delle elezioni e l’Italia si rivelò un Paese spaccato in tre, sostanzialmente ingovernabile con un Parlamento paralizzato.
Ma la speranza di cambiare, seppur azzoppata, aveva ancora qualcosa a cui aggrapparsi. Ci si poteva consolare del fatto che si stavano insediando le Camere più giovani dal dopoguerra, che seppur in maniera confusa, c’era stato un ricambio, che gli attori politici erano cambiati. I timidi tentativi di dialogo fra PD e M5S, l’elezione di personalità nuove e alternative come Grasso e Boldrini, facevano anche confidare in un possibile sbocco positivo della crisi.

I meno ingenui avevano iniziato a capire in fretta che le cose sarebbero andate in tutt’altra direzione. Il M5S si dimostrò ben presto un partito pieno di difetti, i suoi membri incapaci e spesso anche esaltati, ingabbiato nel populismo grillino, capace solo nel ripetere un ossessivo no a qualunque proposta.

Il PD poi, ha fatto di peggio: dopo essere rimasto coerente e fedele alle promesse elettorali, dopo aver presentato un piano di proposte forti e innovative, ha scelto di rinnegare tutto e di scendere a patti con il Caimano che tutto vuole meno che il cambiamento. Pur di difendere privilegi insopportabili e posizioni fuori dalla storia, la sua dirigenza ha preferito distruggere il partito.

Volevamo il cambiamento e ci ritroviamo con Giorgio Napolitano un’altra volta al Quirinale (nulla da dire alla persona ma la sua elezione è un passo all’indietro) e un nascente governo da incubo. Lo chiamano “delle larghe intese” ma sarà la patetica continuazione del governo Monti. Bloccato dai veti incrociati non concluderà nulla ma permettera alla parte peggiore della politica di restare a galla e autoconservarsi. Ogni speranza è perduta, hanno vinto (di nuovo) loro.

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