Sta avendo un discreto successo negli Stati Uniti il libro“The Alchemists: Three Central Bankers and a World on Fire”. È stato scritto da Neil Irwin, noto editorialista del Washington Post.Il titolo è ammiccante ma riflette la convinzione di molti analisti finanziari ed economisti: i banchieri centrali, con le loro politiche non convenzionali, sono definiti “alchimisti”. Se qualcuno avesse dei dubbi si pensi alle nuove politiche ultra espansive della Banca del Giappone, raddoppiare la base monetaria non è una nuova alchimia?
Ma definire Bernanke“alchimista” è riduttivo e, soprattutto, non aiuta a capire l’enorme consenso che è riuscito a costruire attorno alla sue mosse. Quella di Bernanke non è solo politica monetaria, è molto di più: è politica. Non ci sarebbe stato il recupero dell’economia americana senza le “armi pesanti” della Fed.
Bernanke è il demiurgo dei mercati, nel bene e nel male. Si pensi alla trepidante attesa con cui gli operatori finanziari attendono le sue dichiarazioni. Si pensi agli esercizi di esegesi delle sue parole che ogni gestore finanziario deve fare.
Ritratto ufficiale di Ben Bernanke
Quando si costruì, nella rigogliosa New York di inizio Novecento la sede della Federal Reserve – la “banca delle banche – l’architetto si ispirò a Palazzo Strozzi: era la Firenze dei grandi banchieri e del Rinascimento il simbolo da emulare. Ma nella Federal Reserve c’è molto altro di fiorentino: la strategia dell’uomo che la guida. Non sappiamo quali libri abbia letto Bernanke ma potremmo tranquillamente ipotizzare che, da quando è salito ai vertice della Fed, abbia avuto Il Principe del Machiavelli sul suo comodino. Bernanke è machiavellico nel senso più profondo: ha saputo costruire consenso. E intorno a quel consenso ha messo le basi per rinnovare l’egemonia della Fed sui mercati. Perché di egemonia occorre discutere per capire l’importanza dell’azione della Fed. Negli ultimi mesi quando un’analista provava a segnalare come l’andamento delle Borse non rispettasse i fondamentali dell’economia, oppure qualcuno lamentava che le Borse erano salite troppo da inizio anno, gli è stato risposto che non si può andare contro la Federal Reserve. Fino a quando ci sarà tanta liquidità …si ballerà. Il problema è: fino a quando?
In fondo come si spiegano le perdite dei fondi di Paulson – non un gestore qualunque ma uno dei più blasonati gestori di hedge fund al mondo – che ha continuato a puntare sull’oro? Finché la Fed detterà le danze è troppo presto per vedere (e subire) gli effetti delle politiche monetarie ultra-espansive. L’oro servirà a proteggere il valore reale dei portafogli ma non adesso, ritornerà a salire solo quando partirà l’exit strategy della Fed.
Bernanke ha rilanciato una Fed che usciva molto male dall’esperienza di Greenspan, governatore con grandi colpe nella creazione delle bolle alla base della terribile crisi finanziaria del 2007-2008. Subito sono emerse le differenze di Bernanke con il suo predecessore: Greenspan aveva avuto intorno a se una fiducia quasi fideistica, era stato santificato. E poi era caduto nella tempesta. Bernanke, invece, convince per il suo pragmatismo. Non c’è in lui l’ortodossia monetaria dei tedeschi né le convinzionisui modelli matematici di Greenspan, accecato dall’ideologia del greed market (Stefano Zamagni nel suo bel libro L’Avarizia ha messo in luce i fondamenti del pensiero di Greenspan, la sua adesione al Movimento Oggettivista). Greenspan, nel pieno della tempesta finanziaria, nell’ottobre del 2008 davanti alla Commissione di Controllo del Congresso americani fu costretto ad ammettere : “Negli ultimi decenni si è formato un vasto sistema di gestione del rischio e dei prezzi, unendo le migliori intuizioni di matematici ed esperti finanziari rilanciate da importanti progressi nella tecnologia dei computer e delle comunicazioni. Un premio Nobel è stato assegnato per la scoperta del sistema di assegnazione dei prezzi che sostiene gran parte della crescita del mercato dei derivati. L’intero edificio intellettuale, tuttavia, è crollato nell’estate dello scorso anno perché i dati inseriti nel modello di gestione del rischio coprivano in genere solo gli ultimi vent’anni, un periodo di euforia”.
Bernanke invece, profondo studioso della crisi del 1929, non enfatizza gli algoritmi, non pone una fede illimitata nei modelli matematici. Per lui strategia e manovra sono le basi miliari della sua politica. Percorre terreni inesplorati. Azzarda manovre mai viste prima d’ora in politica monetaria (si guardi il bilancio della Fed e si veda cosa c’è d’entro…). Bernanke sa essere “volpe” e”lione”. Sa dosare le mosse oppure agire di scatto. Sa manovrare le aspettative. Naviga a vista nel grande “dilemma di Triffin” in cui è condannata la potenza americana con il dollaro come moneta di riserva mondiale. Come non considerare il suo agire… machiavellico?
Scriveva nel De Principatibus il Machiavelli:
“Dovete adunque sapere come sono dua generazione di combattere: l’uno con le leggi, l’altro, con la forza: quel primo è proprio dello uomo, quel secondo delle bestie: ma perché el primo molte volte non basta, conviene ricorrere al secondo. Per tanto a uno principe è necessario sapere bene usare la bestia e lo uomo.(…)Sendo adunque uno principe necessitato sapere bene usare la bestia, debbe di quelle pigliare la golpe et il lione; perché il lione non si defende da’ lacci, la golpe non si defende da’ lupi. Bisogna adunque essere golpe a conoscere e’ lacci, e lione a sbigottire e’ lupi”.
Ritratto di Niccolò Machiavelli, autore Santi di Tito
Bernanke sa spostare in avanti gli obbiettivi: la Federal Reserve “ridurrà gradualmente il ritmo degli acquisti di asset se il mercato del lavoro migliora in maniera concreta e sostenibile”. Indica nel miglioramento del mercato del lavoro il fattore guida. Ma è anche abile ad “essere gran simulatore e dissimulatore”. Ma soprattutto pronto a cambiare manovra in corso: “…però bisogna che elli abbi uno animo disposto a volgersi secondo ch’e’ venti e le variazioni della fortuna li comandono, e, come di sopra dissi, non partirsi dal bene, potendo, ma sapere intrare nel male, necessitato”.
Ed in effetti anche nelle dichiarazioni del 22 maggio scorso, pur ammettendo la continuazione del piano di quantitative easing si è tenuto una porticina aperta per l’exit strategy: la Federal Reserve è preoccupata della stabilità finanziaria degli Stati Uniti, sta “facendo molta attenzione a questo rischio”. Sono bastate poche parole per far venire i brividi ai mercati.
Evidenziare la strategia eminentemente machiavellica di Bernanke non vuol dire farne un’apologia. Non vuol dire condividerne i mezzi. Occorre invece essere consapevoli che la strategia di Bernanke comporta dei rischi. Dei seri rischi.
Bill Gross di Pimco – il più grande gestore obbligazionario al mondo – è da molto tempo che evidenzia i pericoli di tanta liquidità, gli eccessi del quantitative easing. E i problemi sono noti a molti economisti.
C’è, dunque, una grande incognita che aleggia sul futuro di queste politiche monetarie: quale via d’uscita è possibile percorrere senza che vi siano sconquassi? Come sarà possibile ri-bilanciare le aspettative? Come sarà possibile riposizionare l’appetito al rischio, dopo averlo alimentato? Bernanke dovrà sciogliere un difficilissimo dilemma. Su questo terreno molto insidioso si giocherà un partita delicatissima, con alti rischi.
Saprà Bernanke essere ancora “lione e volpe”?
Twitter: @Giov_Fracasso