Stamattina ci sono stati i funerali di Don Gallo nella Chiesa del Carmine a Genova. Tanta gente – comune e famosa –, molta commozione, un po’ di fischi (prevedibili) a Bagnasco, Bella Ciao e Luxuria che fa la comunione. Una giornata fredda, ma una bella giornata.
Don Gallo era innanzitutto un grande prete. Un prete che conosceva il mestiere e lo sapeva comunicare, a volte anche con un eccesso di protagonismo. Credo pensasse che il Vangelo debba essere una roba che sta nella storia; e la storia la usava fino in fondo per far arrivare, forte e chiaro, l’abc di un messaggio che considerava pietra d’angolo.
Dentro quell’abc ci stava tutto. La bandiera arcobaleno, la Costituzione, i drappi rossi eccetera. Non lo sostituivano, ma ne costituivano una modalità di esecuzione. “La fantasia del bene”, ha detto il Cardinal Bagnasco. Ecco, credo che dovrebbero ricordare innanzitutto questo i tanti dongallisti che Don Gallo sì, ma la Chiesa e tutto il resto no. Don Gallo non è mai uscito da “tutto il resto”. Non poteva prescinderne.
Bene, tra i dongallisti c’è Gino Paoli. Che il giorno stesso della morte di Don Gallo, ha scritto un commento per il Secolo XIX. Una cosa pigra, un po’ banalotta e piena di luoghi comuni. “Don Gallo è una di quelle persone – ha detto – che quando se ne vanno ti chiedi: ma è giusto? Qualcuno può dire: sì, il Padreterno lo ha chiamato perché lo voleva vicino. Beh, il Padreterno ha fatto un grande guaio”. E perché mai? Ma per una ragione molto semplice. Perché si troverà a combattere contro di lui che “li vorrà tutti in paradiso: le puttane, i drogati, i ladri, gli omosessuali, eccetera”.
Ora, mi rendo conto che la necessità della battuta – specialmente per chi è abituato a scrivere testi da cantare – fa premio sull’analisi, però mi chiedo: ma Gino Paoli lo sa che – tecnicamente – Dio è stato per Don Gallo il Caporione dei buoni? E un Mandante può mai litigare con un magnifico sicario dei luoghi comuni?