Si intitola “College boy” ed è il secondo singolo dell’ultimo album degli Indochine, uno dei gruppi rock più famosi in Francia. Il videoclip del brano, firmato da Xavier Dolan – giovane e controverso regista canadese già premiato a Cannes, – sta facendo discutere e rischia la censura da parte del CSA (il Consiglio Superiore dell’Audiovisivo) a causa della violenza inaudita che mette in scena con assoluta disinvoltura. Roba per stomaci forti.
Il filmato – preceduto non a caso dalla frase: «Attenzione! Questo videoclip contiene delle sequenze e delle immagini che potrebbero urtare i più giovani» – mostra l’escalation di violenza che anima un gruppo di adolescenti belli come il sole e in elegante tenuta da collegiali, allorché diventano gli spietati carnefici di un compagno di classe. Si comincia dai fogli di quaderno appallottolati e lanciati sullo sventurato durante la lezione, si prosegue con una pallonata in testa, fino al pesantissimo pestaggio e alla… crocifissione. Sì, proprio così. La povera vittima viene issata su una croce nel cortile della scuola, addobbata quasi fosse una palla sull’albero di Natale e sottoposta ai colpi incessanti delle armi da fuoco, tirate fuori dai ragazzi per l’occasione. Gli adulti assistono immobili e bendati ad un massacro che viene vivisezionato con trucida eleganza dalle sequenze al ralenti e da un’algida fotografia in bianco e nero.
«Provocazione? Strategia di marketing virale?», si chiede il quotidiano Le Parisien, che ha pubblicato il videoclip in escusiva. Difficile ammetterlo, visto che la band francese non ha mai avuto problemi di vendite e che i concerti del nuovo tour hanno già fatto il tutto esaurito. «Non cerchiamo né la censura, né lo scandalo – ha detto al quotidiano belga Le Soir il leader del gruppo Nicola Serkis, – sono piuttosto i problemi legati all’educazione ad interessarci. Quando una persona è messa nelle condizioni di poter comprare delle armi su internet e di poterle utilizzarle contro degli innocenti, è urgente che sull’argomento si faccia una seria riflessione politica». È sulla stessa linea anche il regista Xavier Dolan: «Volevo spingermi fino al limite non per scioccare, ma per mostrare che tutto ciò è possibile, visto che non c’è niente che lo impedisca», ha detto a Le Parisien. «Dire che il video incoraggia la violenza è totalmente stupido – aggiunge. – Vi sembra davvero più violento di tutti i film che arrivano ogni giorno sui nostri schermi? Non c’è nessuna ambiguità sul messaggio di non-violenza del videoclip. Siamo in empatia con il protagonista fin dal primo momento».
È l’eterno dibattito sulla “banalizzazione del male”: è giusto mostrare tanto sangue come fa, ad esempio, Tarantino? E nello stesso tempo: è giusto denunciare i film splatter come fa Michael Haneke nel suo “Funny games“, cioé rincarando la dose? Fino a che punto la denuncia della violenza (attraverso la sua caricaturizzazione) non diventa una fonte d’ispirazione per il suo perpetuarsi, magari su scala più ampia?
E se fosse vero il contrario? «È la realtà ad aver già anticipato la finzione del videoclip», ha detto Nicola Serkis riferendosi «a tutte le manifestazioni che ci sono state contro il matrimonio gay e ai discorsi omofobi degli ultimi mesi».