Nel mirinoCrollo in Bangladesh: il potere delle immagini

25 Aprile 2013, Dhaka, Bangladesh, photo by Taslima Akhter «I feel the urge to share this pain with everyone. That’s why I want this photo to be seen». Taslima Akhter Il 24 aprile crolla un palazzo...

25 Aprile 2013, Dhaka, Bangladesh, photo by Taslima Akhter

«I feel the urge to share this pain with everyone. That’s why I want this photo to be seen». Taslima Akhter

Il 24 aprile crolla un palazzo di otto piani a Dhaka in Bangladesh. Le vittime accertate a oggi sono 750, tutti operai che lavoravano nei laboratori tessili dell’edificio, per uno stipendio di 38 dollari al mese.

Taslima Akhter, nata nel 1974 proprio a Dhaka, è una fotografa e attivista nota per il suo impegno nel denunciare le condizioni in cui lavorano gli operai del tessile in Bangladesh.

Taslima ha scattato questa foto il 25 aprile, appena dopo il disastro. Sul posto per aiutare a scavare tra le macerie in cerca di superstiti e per documentare la tragedia, fra le centinaia di corpi trova questa coppia, di cui cerca, senza riuscirci, di scoprire l’identità. Non sa se siano sposati, amici, fratelli, o semplici conoscenti, in ogni caso questa foto è sicuramente una delle immagini più potenti che ho visto negli ultimi anni.

Una foto che inizia subito a perseguitare la fotografa stessa, che sente il bisogno di condividerla con tutti: la pubblica sulla sua bacheca di Facebook, e immediatamente fa il giro del mondo.

Questa immagine è la sintesi estrema della potenza della fotografia, della forza di una singola immagine iconica di farsi metafora non solo di situazioni complesse ma di emozioni universali, è orribilmente bella: un gesto così umano che cancella ogni distanza, geografica culturale e sociale.

Parlavo giorni fa con un fotografo a proposito della possibilità di singole immagini di diventare iconiche, di come sia impossibile premeditare uno scatto simbolico, cercarlo, costruirlo, di come spesso sia la storia a posteriori a decretarlo. Non è questo il caso della foto di Taslima: forse perché legata a un avvenimento di cronaca a cui i media hanno dato molto risalto, forse per la velocità con cui oggi internet permette di fare circolare le informazioni, credo che si possa già dire che l’immagine di Dhaka resterà nella storia.

La fotografia di Taslima ha la forza di spostare immediatamente l’attenzione dal fatto di cronaca del crollo del palazzo ai singoli individui che in questo crollo hanno perso la vita: non più macerie ma uomini e donne che come noi hanno paura, amano, gridano, piangono.

Spero che nessuno avrà il coraggio di dire che si tratta di una foto “estetizzante”, è piuttosto un’immagine di una bellezza struggente, di una dolcezza che spazza via qualsiasi possibile polemica, che come dice Taslima è come se urlasse che gli uomini e le donne che hanno perso la vita a Dhaka il 24 aprile non sono esseri umani a basso costo: la loro vita è preziosa tanto quanto quella di ognuno di noi.

Questa fotografia riesce a spostare l’attenzione dal generale al privato, dall’impersonale al personale, colpendoci li dove siamo più vulnerabili: è impossibile rimanere impassibili guardando questo ultimo, commovente abbraccio, guardando scendere dagli occhi di lui quella simbolica lacrima di sangue. 

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