Martedì 28 maggio le due più pericolose gang dell’Honduras hanno dichiarato una tregua.
In una conferenza stampa direttamente dal carcere di San Pedro Sula, il portavoce di Mara Salvatrucha, a volto coperto e con alcuni affiliati al fianco, ha offerto la cessazione di qualsiasi tipo di attività criminale della sua banda; pochi minuti dopo, uno dei capi della 18th Street (o Barrio 18) si è impegnato a rispettare le stesse condizioni poste dal rivale.
È stato un appello epocale rivolto alla gente dei quartieri e allo Stato honduregno: “La nostra tregua è con Dio, con la società e con le autorità. Chiediamo alla società e alle autorità di perdonarci i danni che abbiamo causato. Voglio che mio figlio diventi un medico o un cameraman, e non un delinquente”.
I leader delle due gang hanno chiesto un aiuto concreto al loro governo per permettere un reinserimento nel tessuto sociale, la possibilità di imparare un mestiere e un futuro migliore per i tanti giovani che finora non avevano altre alternative se non quella di arruolarsi ed iniziare a sparare.
Questo gesto distensivo e dalla portata non solo simbolica, è stato possibile grazie alla mediazione del vescovo cattolico Romulo Emiliani e dell’Organizzazione degli Stati Americani. La chiesa cattolica e la OAS erano stati determinanti anche in un altro processo di pacificazione del centroamerica, quello del confinante El Salvador dove, quattordici mesi fa, Mara e Barrio si sono ritrovati faccia a faccia in un’aula di un carcere di massima sicurezza e, dopo un minuto di silenzio per commemorare le migliaia di vittime, hanno concordato un “cessate il fuoco”. Da allora in Salvador gli omicidi ed i rapimenti sono scesi di quasi il 52%.
L’Honduras è considerato, probabilmente a ragione, il Paese più violento del mondo con una media di 91 omicidi ogni 100mila abitanti e mantenere una tregua non sarà di certo facile in questo contesto, considerando i forti legami che le bande locali hanno con i cartelli della droga e i trafficanti di armi sudamericani. Solamente nel 2012 le guerre tra maras hanno ucciso 7.172 persone e le faide per motivi territoriali o economici sono cresciute esponenzialmente, per cui è comprensibile il sollievo del presidente in carica Porfirio Lobo Sosa che ha promesso totale sostegno da parte delle autorità. Il mantenimento della pace e la riduzione della ciminalità a lungo termine dovranno infatti essere subordinati, secondo l’ambasciatore per la sicurezza della OAS Adam Blackwell, ad “un forte sostegno da parte delle autorità e ad un’intensificazione delle azioni sociali, come per esempio programmi scolastici e di dopo scuola per togliere i bambini dalle strade”.
L’impegno di Mara Salvatrucha e Barrio 18 è quello di una linea a zero reati: basta alle violenze, agli assassinii, ai reclutamenti forzati e anche alla cosiddetta “imposta di guerra”, il racket delle estorsioni che ha distrutto l’economia del Paese e la vita di tutti i giorni. Nei barrios si uccideva e si veniva uccisi per proteggere il proprio territorio, si marcava il proprio corpo con lugubri tatuaggi per mostrare al mondo qual’era la tua “famiglia”, quali erano i tuoi ideali e si esibivano con onore le cicatrici di guerra, i nomi degli amici morti incisi sul petto e sul collo o semplicemente il bottino dell’ultima razzia a casa del nemico.
Come sottolinea Luis Lainez di La Prensa Grafica, quotidiano di El Salvador, non è facile accettare che “la politica di uno Stato si basi su un accordo di non aggressione tra bande criminali“, ma pensare che quegli stessi ragazzi, spesso giovanissimi e disperati, siano arrivati alla conclusione che quel sistema criminale non è più sostenibile, quel sistema criminale non può più essere la loro vita, né deve diventare quella dei loro figli e che tutti quanti hanno bisogno di un ritorno alla normalità, di un lavoro, uno stipendio e una casa sicura, ecco, pensare a questa incredibilmente matura assunzione di responsabilità mi dona nuova fiducia nel genere umano.
Spesso dobbiamo ridurci a raschiare il fondo per iniziare a capire l’importanza dell’aria fresca, ma queste notizie dimostrano che, per dirla alla Rocky Balboa, “se io posso cambiare e voi potete cambiare … tutto il mondo può cambiare”.
http://ilprossimoexprecario.wordpress.com/2013/05/30/gettiamo-le-armi-ci-serve-un-lavoro/