Sconvolgenti le rivelazioni dell’Australian Financial Review, secondo cui gli auricolari usa e getta che distribuisce in volo la Quantas (ma pare anche molte altre compagnie aeree fra cui British ed Emirates) sono fabbricati da prigionieri cinesi sottoposti ad abusi.
Il quotidiano australiano ha intervistato ex detenuti di un carcere cinese, secondo i quali i prigionieri devono lavorare in turni lunghissimi, vengono pagati solo l’equivalente di un euro al mese, e se non raggiungono i target di produzione sono sottoposti regolarmente a percosse e scosse elettriche da pistole Taser e rinchiusi in isolamento.
«Mi svegliavo ogni mattina chiedendomi se sarei riuscito a sopravvivere un altro giorno», ha detto Danny Cancian, un ex detenuto neozelandese, che ha scontato quattro anni per omicidio preterintenzionale dopo una rissa in un ristorante. «Sì, facevamo gli auricolari per la Qantas, con il simbolo del canguro – ha raccontato Cancian – ma anche per British Airways e Emirates e molte altri».
Dopo aver letto questo pezzo, per chi, come il sottoscritto, vola spesso l’idea che le cuffiette che usiamo per guardare la tv, o ascoltare musica, siano realizzate da uomini torturati e brutalizzati è particolarmente sconvolgente.
La vita nelle carceri cinesi deve essere già terribile, ma che questi disgraziati (nel senso di sfortunati) reclusi siano anche costretti con la violenza a lavorare per produrre beni di consumo per noi, e per arricchire società senza scrupoli, è particolarmente intollerabile.
E lo sdegno che provo mi spinge a chiedermi se anche la nostra compagnia di bandiera (Alitalia), o altre aziende italiane in settori anche diversi dall’aereonautico, comprino prodotti realizzati da schiavi torturati nelle carceri cinesi? E non solo cinesi.
Infatti credo che se anche è vero che assai poco possiamo fare per esportare libertà, diritti e democrazia, molto però possiamo per impedire che nostre aziende (sempre che ci siano ovviamente) siano complici di queste barbarie. Sarebbe già sufficiente che il Governo inasprisse le sanzioni per le imprese che non controllino la provenienza delle merci (ovviamente l’intera filiera produttiva) che acquistano da Paesi a “rischio”, come la Cina.