Banche, moneta, potereIl declino dell’economia italiana: idee a confronto

    Quando si parla di declino italiano vengono in mente le bellissime pagine di Carlo Maria Cipolla (prima nel suo articolo del 1952 sulla The Economic History Review e poi in vari saggi ed artic...

Quando si parla di declino italiano vengono in mente le bellissime pagine di Carlo Maria Cipolla (prima nel suo articolo del 1952 sulla The Economic History Review e poi in vari saggi ed articoli successivi) sul nostro “lungo Seicento”, sulla profonda trasformazione – avvenuta in pochi decenni – che colpì la nostra Penisola, che da primaria potenza economica, da culla del logos economico- mercantile, divenne un Paese poverissimo.

At the beginning of the seventeenth century, Central and Northern Italy was still one of the more highly developed regions of Western Europe. (…) Towards the end of the same century, that is around 1680, Italy had become a backward and depressed area; her manufacturing industry had collapsed. (…) Venice, at the beginning of the century produced annually more than 20,000 cloths, at the end, annual production had declined to little over 2,000 cloths. In Como the silk industry had thirty active looms. By 1650 there were only two. In Milan there were between sixty and seventy firms making woollen cloths, with an overall output of 15,000 cloth a year. By 1709 there was but a single firm, with an annual production of around 100 cloths” (C.M.C, “The economic decline of Italy”, in “The economic decline of empires“, Londra,1970).

E Bendetto Croce dirà che quella decadenza fu anche una decadenza non solo economica ma “di valori”, fu anche una “decadenza morale”.Quelle analisi di Cipolla o del Croce possono essere un severo monito per il presente, in cui è innegabile una nuova decadenza italiana: si pensi – anche con profonda inquietudine – a ciò che sta avvenendo nei nostri giorni, alle difficoltà del presente che hanno tuttavia radici lontane.

From being a developed country, mainly importing primary product and exporting manufactured goods and services, Italy had become an underdeveloped country, mainly importing manufactured articles and services and exporting primary products. The story of seventh – century Italy is, however, a good example of the destructive effect of a process of readjustment abandoned to automatic long-term deflation “. (C.M.C.in The economic decline of Italy, in “The economic decline of empires“, Londra 1970).

Il nuovo declino italiano è, in modo emblematico, dimostrato da questo grafico in cui viene evidenziato il tasso di crescita del Pil reale in Italia dal 1960 al 2011

Quali sono le analisi più interessanti e profonde sul declino italiano?

Il 5 giugno scorso si è svolto presso la Facoltà di Economia dell’Università Gabriele d’Annunzio di Pescara l’interessante seminario “Flessibilità del lavoro, vincolo esterno e declino dell’economia italiana” a cui hanno partecipato come relatori:

– Giuseppe Travaglini dell’Università degli Studi Carlo Bo di Urbino,

– Dario Sciulli dell’Università Gabriele d’Annunzio di Pescara

– Massimo Del Gatto dell’Università Gabriele D’Annunzio di Pescara

– Francesco Daveri dell’Università degli Studi di Parma

– Alberto Bagnai dell’Università Gabrile D’Annunzio di Pescara.

Non ho potuto assistere al convegno ma per fortuna ho trovato i video delle presentazioni e delle discussioni già caricati su Youtube.

http://youtu.be/XUxa2LYijKw

http://youtu.be/QvVkJH3_cdc

http://youtu.be/ESpy5hpuW8k

Come osserva Alberto Bagnai, dal 1996 il reddito medio pro capite degli italiani – in termini reali (depurato cioè dagli effetti dell’inflazione) – ha cominciato a discostarsi verso il basso dalla media dell’Unione Europea a 15 Paesi , perdendo circa 4000 euro in una quindicina di anni. L’Italia non sta catching up, sta falling behind, e la tendenza è piuttosto eloquente, come eloquente è, la presenza di un vistoso cambiamento di struttura, localizzato in un ben preciso anno: il 1996. I problemi italiani non sono legati solo alla congiuntura ma purtroppo hanno una natura strutturale.

Travaglini e Daveri, seppur da prospettive diverse, analizzano il declino dell’economia italiana come problema di produttività del lavoro, in particolare nel settore manifatturiero e la riconducono ad una radice comune le riforme del mercato del lavoro iniziate negli anni Novanta.

Francesco Daveri (con Cecilia Jona-Lasinio dell’ISTAT) ha analizzato sin da un suo studio del 2005 intitolato “Getting the facts right” e pubblicato sul Giornale degli Economisti (vol. 64, n. 4), il problema del declino. Daveri poi, in un successivo studio del 2010 (svolto insieme a Maria Laura Parisi dell’Università di Brescia), ha constatato come la “flessibilità parziale del mercato del lavoro sia stato un inefficace sostituto della svalutazione”.

Alberto Bagnai- autore peraltro dell’interessante libro “Il tramonto dell’euro” – sostiene invece un’altra linea di interpretazione: “ovvero che lo shock determinato dalla rivalutazione reale del 1996 abbia potuto attivare un meccanismo di causazione cumulativa del tipo descritto da Dixon e Thirlwall nel lontano 1975, sulla base di un modello “concettuale” esposto da Kaldor nel lontano 1970, nello Scottish Journal of Political Economy.”

Secondo Bagnai :

“1) a partire dalla metà degli anni ’80 i differenziali di inflazione fra paesi partner dell’eurozona e Germania si sono ridotti;

2) questo processo è continuato anche dopo l’entrata nell’euro, che quindi non ha né causato né amplificato i differenziali di inflazione;

3) al contempo, questi differenziali sono sempre rimasti in media positivi, cioè gli altri paesi hanno continuato ad avere più inflazione della Germania, e quindi non cè stata convergenza fra tutti i partner dell’eurozona;

4) questo ha determinato una svalutazione reale della Germania rispetto a tutti i partner, se pure in misura variabile (e simmetricamente una rivalutazione reale dei partner rispetto alla Germania);

5) questa svalutazione reale ha contribuito al grande successo delle esportazioni tedesche, successo che è molto più marcato rispetto ai partner dell’eurozona che rispetto al resto del mondo. “

Bagnai nel convegno ha presentato le ricerche di due suoi lavori:

– “Italy’s decline and the balance-of-payment constraint: a multicountry analysis”

– “Does productivity cause exports in the long run? A panel VECM based analysis“.

Nel dicembre del 2012 nel Dipartimento di Economia dell’Università di Parma nel convegno “Crescere si può. Con o senza euro” – che ho organizzato insieme a Giulio Tagliavini per l’Associazione Tyche – ho avuto il piacere di avere come relatori sia Bagnai che Daveri: http://www.associazionetyche.org/featured/crescere-si-puo-con-o-senza-euro/

Con Daveri e Bagnai,Tagliavini ed altri docenti il convegno continuò con una bella chiaccerata serale presso la Corale Verdi, in una cena impreziosita dai bolliti di Sante (straordinario cuoco “verdiano”).

Consiglio di seguire attentamente i video del convegno di Pescara.

E spero di poter organizzare per il prossimo autunno un nuovo convegno a Parma con Bagnai, Daveri ed altri docenti sul tema del “declino”.

Bagnai e Daveri, nelle loro analisi giungono, su molti aspetti, a posizioni diverse, ma hanno in comune il rigore scientifico ed una profonda onestà intellettuale: virtù sempre più rara in questi tempi.

Giovanni Fracasso

Twitter: @Giov_Fracasso

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