Photo by Pierpaolo Ferrari – W magazine – november 2009
Fabio Volo tiene una conferenza al Festival della Filosofia di Modena, i Vanzina una di cinema al Sundance, alla Scala di Milano c’è un concerto di Mengoni e in Triennale Settimio Benedusi mette in scena una Lectio Magistralis di Fotografia.
Ci sono due verità e due menzogne nel paragrafo precedente, sapreste indicarle?
Photo by Mario Sorrenti – Vogue Italia – august 2009
Chiamare Benedusi “maestro”, chiedergli di fare una lezione di fotografia mettendolo allo stesso livello di Scianna, Toscani, Berengo Gardin o Gastel, che servizio rende alla società? Che fraintendimenti può creare? Le persone che non si occupano professionalmente di fotografia saranno sempre comunque in grado di vedere le differenze? E una volta viste le differenze, che cosa potrebbero chiedersi e pensare?
Ad esempio potrebbero pensare che quando Benedusi parla di esclusione sistematica dei fotografi italiani di talento dai nostri magazine potrebbe avere ragione, che quando dice che Toni Thorimbert è così bravo che dovrebbe scattare le copertine di Vogue Italia potrebbe essere vero, sostenendo un ipotetico diritto di prelazione cha fa slittare il criterio valutativo di scelta dalla questione della qualità a quella della nazionalità. (Potete giudicare voi il livello qualitativo delle loro fotografie visitando i loro siti qui e qui)
Photo by Stefano Galuzzi – Vogue Turkey 2010
A Benedusi vorrei ricordare che nel sistema-moda ci sono moltissimi fotografi italiani di talento che lavorano non solo in Italia ma per tutte le più prestigiose testate di moda internazionali, fra cui ad esempio Paolo Roversi, Mario Sorrenti, poi più giovani Pierpaolo Ferrari, Stefano Galuzzi, Michelangelo di Battista, ancora più giovani Daniele Duella, Alessio Bolzoni, Filippo Mutani, Alice Rosati, Elena Rendina, Carlotta Manaigo.
Questi che ho nominato sopra non sono meno italiani di Thorimbert e Benedusi ma solo molto ma molto più bravi nel fare fotografie di moda.
Non ho niente di personale contro Settimio Benedusi, che non conosco e sarà sicuramente una brava persona, un professionista che si occupa di fotografia commerciale e ha intelligentemente intitolato la sua Lectio Magistralis “Come diventare un grande fotografo senza esserlo”.
Photo by Michelangelo di Battista – Vogue Italia – april 2012
È che io non sono per niente d’accordo con la premessa, non sono d’accordo sul fatto che oggi per passare per maestro della fotografia basta essere dei comunicatori, dei personaggi: dirò forse una banalità, ma per essere un bravo fotografo bisogna fare delle belle fotografie, di quelle che si ricordano, di quelle che spingono a riflettere, che pongono domande, di quelle che non rimangono recluse dentro la cornice della loro inquadratura.
E così vale per tutte le cose: basta con i comunicatori di successo, con la celebrità ottenuta solo grazie alla popolarità… Inizio a rimpiangere la società di Guy Bebord, lì almeno c’era lo spettacolo, qui c’è rimasto solo il sipario.
Photo by Paolo Roversi – Vogue Unique- allegato di Vogue Italia – september 2011
Supponiamo che non ci sia fotografia in sé buona o cattiva, migliore o peggiore, che sia tutta una convenzione, ecco questo sarebbe relativismo sulla fotografia e se è così, è molto probabile che finisca per essere riconosciuto, per affermarsi ed avere successo non chi ha un grande talento ma chi urla di più, chi in un modo o nell’altro riesce a far parlare di sé, a fare rumore, chi è più bravo ad autopromuoversi, a gestire le pubbliche relazioni.
Come scriveva Michele Smargiassi, il cui pensiero stimo moltissimo, nel suo post su Repubblica di qualche tempo fa a proposito delle critiche a una mostra fotografica di Martina Colombari “Non abbiamo ancora capito che i confini tra cultura alta e bassa, tra mercato e cultura, nel sistema fotografia sono sempre sfumati? Che le cose più interessanti, nella cultura fotografica, stanno nascoste proprio nei suoi usi più banali ed anche commerciali? La pop-art non ci ha insegnato nulla? “
photo by Alessio Bolzoni – Dossier Magazine
È vero, oggi fare una divisione fra cultura alta e cultura bassa non ha più molto senso, se non per pochi arroganti intellettuali autoreferenziali con l’insopportabile pretesa di stare su un gradino più alto da cui guardare gli altri con disprezzo, una stretta cerchia di egoriferiti che non sono in grado di mettersi in discussione.
Dalla cultura “bassa”, si può imparare moltissimo, verissimo, ma a condizione di essere in grado di mettersi sempre in discussione, di porsi domande – e da dove viene questa capacità se non dallo studio, dalla cultura?
Ma se smettiamo di pensare perché guardiamo solo immagini semplici leggiamo solo libri facili e andiamo a vedere solo cinepanettoni, il tutto giustificato dai diversi esperti del settore, cosa accadrà alla nostra capacità di critica? Saremmo ancora capaci di leggere e imparare anche da queste cose o le subiremmo sempre più passivamente?
Photo by Alice Rosati
Senza un proprio apparato critico, le cose semplici non pongono domande, le immagini semplici, finite, anestetizzano il cervello, non invitano al ragionamento; va benissimo che si rifletta anche su questo tipo di immagini, magari anche pregevoli, ben confezionate, tecnicamente perfette, ma comunque mediocri, banali, deboli, ma cosa succede quando la comunità degli esperti del settore le eleva a qualcosa altro: arte, “grande” fotografia?
Da parte degli esperti generare confusione in chi ha meno strumenti per giudicare un’immagine non è altro che una subdola forma di relativismo, che elimina le distinzioni alimentando la convinzione che perché una fotografia sia buona o un fotografo sia un maestro basta che ci si faccia sopra un tot di propaganda.