La politica italiana e l’arte di rimandare. Tra scienza, letteratura ed esempi illustri.
Riuscire a capire quali siano le effettive ed attuali priorità politiche è un vero dilemma. Certo, in campagna elettorale ve ne sono di precise: costi della politica, sburocratizzazione, lavoro, ricerca, giovani, legge elettorale, ma quando poi si deve passare dalla proposta alla pratica, le cose cambiano. E si ritorna a parlare di riforma presidenziale, di processi (quelli non mancano mai), delle frasi di qualche parlamentare esagitato, di scontrini da rendicontare.
I più maliziosi pensano che tutto ciò sia dovuto allo stallo istituzionale, culturale e politico che ha contraddistinto gli ultimi venticinque anni, i più pessimisti che la politica sia proprio questa: dire una cosa e farne un’altra.
C’è però una terza spiegazione che rende chiaro tutto: i nostri politici sono ansiosi. E come si vince l’ansia? Ci sono due scuole al riguardo. La prima è quella del “fallo quanto prima e togliti il pensiero”, ma le persone che agiscono così appartengono al gruppo che puntualmente è penalizzato alle elezioni, penalizzato alle primarie, penalizzato alle parlamentarie, penalizzato persino negli oratori e nelle squadre di calcetto.
L’altro gruppo, numericamente meglio nutrito e vincente, appartiene invece alla schiera di chi pensa che l’ansia si vinca rinviando. Il metodo è temporeggiare e poi, ma solo poi, affrontare la priorità.
Questa strategia, a quanto pare incompresa dai più, è molto raffinata. Chiunque di noi può farla propria con impegno e dedizione: non asseconda la pigrizia e va valutata senza fretta. Come si attua? Stilata, in tutta calma, una lista degli impegni -dal più urgente ai meno importanti- ci si concentra sui secondi, in modo da non dare a voi stessi e agli altri l’impressione fastidiosa di essere inattivi. Solo così il vostro senso di colpa verrà annichilito e l’immagine pubblica resterà (quasi) intatta.
Attenzione però a non confondere questa acuta metodologia con il dozzinale “non fare oggi ciò che puoi fare domani”: mentre il procrastinatore comune tende a non fare nulla, il temporeggiatore politico si dedica ad altro, pur di evitare di fare ciò che dovrebbe assolutamente fare.
I precedenti sono illustri e trasversali: dal dittatore romano Quinto Fabio Massimo, detto appunto il Temporeggiatore, che stremò Annibale rinviando continuamente la battaglia, sino a Gadda che pubblicò i primi stralci del Pasticciaccio de via Merulana nel 1944, consegnando ben tredici anni dopo il romanzo che oggi conosciamo al suo editore. Incompiuto.
Anche Kafka non era da meno: dipendente pubblico part-time, in teoria aveva il pomeriggio libero per la scrittura. E invece al pranzo faceva seguire una pennichella di quattro ore, che manco Homer Simpson, e poi a cena. Solo in tarda serata trovava il tempo di scrivere qualcosa, comprese le sue famose lettere. In una di queste addirittura si lamenta: “il tempo è breve, la mia forza limitata, l’ufficio è un orrore, l’appartamento è rumoroso”. Che non fosse tutta una scusa per nascondere la verità sulla sua innata tendenza a perdere tempo?
Certo, per dirla con Thomas Jefferson, “rimandare è meglio che sbagliare”, ma forse bisogna stare attenti a non eccedere. Sempre con calma, ovvio. È eclatante il caso di Thomas Parnell, primo professore di fisica all’Università del Queensland.
Nel 1927 ha avviato un esperimento per misurare la viscosità della pece, versandone una piccola quantità in un imbuto sotto a una campana di vetro. E attese. Nel 1938, dopo undici anni, cadde la prima goccia. Gaudium magnum. Nel 1961 poi, alla terza goccia, la custodia della teca è passata al suo allievo John Mainstone che oggi, a quasi 80 anni, è in attesa della nona goccia. Le sue parole in merito hanno lo stesso fascino rassicurante delle cose certe ed ineluttabili: «Nessuna tribolazione mai avvenuta nel mondo è mai riuscita a disturbare il corso dell’esperimento».
Per analogia ci si chiede, ovviamente senza ansia, di quale goccia siano in attesa i nostri politici. Speriamo solo non sia quella più vituperata, quella che nell’immaginario collettivo fa poi traboccare il vaso.