Conosco il meccanismo. Tu crei il polemicone e quelli – i giornalisti – piazzano l’occhio di bue sulla tua faccia. Se poi la polemica è contro uno che – a rigore – dovrebbe essere dalla tua parte, all’occhio di bue aggiungono un bel po’ di watt.
La faccenda è la seguente: oggi nella capitale c’è il Roma Pride 2013. Su cosa sia credo non sia il caso di soffermarsi se non per ricordare che è una manifestazione per la sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulla difesa dei diritti di gay, lesbiche, omosessuali e trans.
Ad alcuni degli organizzatori viene l’idea di invitare il neosindaco Ignazio Marino, giudicandolo sensibile alla tematica. Ma lui, dopo la biciclettata in favore di telecamere e l’annuncio della pedonalizzazione dei Fori Imperiali, declina l’offerta. Perché – dice – vuole stare con la famiglia dopo i giorni un po’ “pieni” della campagna elettorale.
Apriti cielo! “Una risposta irrispettosa e offensiva – hanno ribattuto quelli del Comitato Roma Pride 2013 – nei confronti di una comunità che si batte da anni per vedere riconosciuti i diritti, la visibilità e la dignità delle proprie famiglie”.
Sì, Marino ha poi mandato una nota per ribadire il suo “impegno affinché a Roma i diritti di tutti siano garantiti e venga sradicata ogni forma di intolleranza”, ma non basta. Il presidente del circolo di cultura omosessuale Mario Mieli è chiaro: ”Ci sembra una falsa partenza e un brutto segnale nei confronti di Roma e di una comunità importante che ha contribuito in modo rilevante alla sua vittoria”.
Io ho l’impressione – e la risposta del presidente del circolo Mieli può esserne una prova – che l’offesa non sia stata tanto aver evocato la “famiglia normale”come giustificazione dell’assenza. Il prurito degli organizzatori è dovuto al fatto di non essere stati considerati abbastanza “degni”di una delle prime uscite pubbliche da primo cittadino.
Ora, chiedo provocatoriamente solo una cosa: ma è obbligatorio per un sindaco di sinistra partecipare al Pride? E se non partecipa deve giustificarsi come John Belushi nei Blues Brothers (“le cavallette baby”)? Oppure ne facciamo solo una questione di gruppi di pressione che portano voti e allora astenersi da discorsi magniloquenti sui diritti, please.
Il fatto è che, per uno strano cortocircuito, trovo che ci sia una venatura di malcelato fascismo in chi vuole costringere Marino a partecipare al Pride. Aldo Busi ha rilasciato sull’argomento una dichiarazione emblematica: tanto valeva rimanesse Alemanno. Certo, sarebbe stato tutto più facile per i professionisti della della diversità prendersela con un vero ex fascista.