ItaliAmoDa noi (solo)tasse e spesa pubblica non temono la crisi

In Italia, Paese dai (troppo spesso) tristi primati, sicuramente tasse e spesa pubblica, entrambe fra le più alte al mondo, non temono certo la crisi. Sono come ricche, e gaudenti, signore che vann...

In Italia, Paese dai (troppo spesso) tristi primati, sicuramente tasse e spesa pubblica, entrambe fra le più alte al mondo, non temono certo la crisi.

Sono come ricche, e gaudenti, signore che vanno a spasso a braccetto, una sostendo l’altra.

Difatti la spesa pubblica, nei dodici anni intercorsi fra il 2001 e il 2012 è passata da 536 a 805 miliardi, con un aumento del 50,1 per cento.

In termini reali, tenendo conto cioè dell’inflazione, il progresso è stato del 15,9 per cento.

Ma questa crescita ha riguardato esclusivamente la spesa corrente, lievitata da 485 a 759 miliardi, mostrando un incremento monetario del 56,5 per cento e reale del 20,8 per cento.

E mentre la burocrazia si gonfiava a dismisura, ingoiando valanghe di denari pubblici così da superare per voracità addirittura le entrate fiscali (l’aumento degli introiti pubblici fra tasse e contributi previdenziali è stato di 228 miliardi contro 274 miliardi delle uscite correnti), gli investimenti pubblici crollavano.

La spesa in conto capitale è scesa infatti da 51 a 46 miliardi, con un calo del 9,8 per cento. In termini reali, però, la flessione è risultata di ben diversa entità: -30,3 per cento.

La spesa corrente è salita a un ritmo forsennato, addirittura superiore a quello delle entrate statali. Nel periodo considerato ha registrato un aumento di 274 miliardi, a fronte di un incremento dell’incasso generato da imposte e contributi previdenziali pari a 228 miliardi.*

Così facendo, per coprire questa voragine nei conti pubblici invece di razionalizzare e tagliare la spese, cosa hanno fatto tutti i nostri Governi negli ultimi venti anni?

Semplice, hanno aumentato le tasse. Creando una terrificante equazione: ad aumento della spesa pubblica equivale immediato aumento della pressione fiscale.

Ovviamente questo (dissennato) atteggiamento della politica ha provocato rispettivamente crisi economica, aumento dell’inflazione, della disoccupazione, dell’illegalità e del sommerso.

E pensare che basterebbero poche manovre per uscire da questa folle perversione masochistica: ad esempio rinunciare all’acquisto dei famosi (famigerati) F35 farebbe risparmiare circa 14 miliardi di euro alle casse dello Stato.

Oppure tagliare gli Enti inutili, ma quelli veri, (tra cui il Banco nazionale di prova per le armi da fuoco di Gardone Val Trompia, l’Opera nazionale per i figli degli aviatori e la Fondazione di beneficenza Vittorio Emanuele III…) he csono ancora 3.127 e costano oltre 7 miliardi l’anno.

Insomma se fossimo un Paese normale, con le potenzialità che abbiamo dovremmo vivere non bene, ma favolosamente. Dovremmo essere fra i più ricchi al mondo.

Ma, purtroppo, noi siamo tutto tranne che “normali”.

D’altronde nessuno (altro triste primato tutto italiano) in Europa è stato capace quanto noi di bruciare risorse senza avere in cambio almeno un po’ di crescita economica, di occupazione, di speranza.

*dati studio elaborato per l’Associazione dei Costruttori dal Centro Studi “Economia reale”

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