Vanilla LatteGeorge Zimmerman, la guardia giurata che non lo era

Del caso relativo alla morte del giovane Trayvon Martin, e del successivo processo a George Zimmerman, in questi giorni sono già state versate quantità industriali di inchiostro, su entrambe le spo...

Del caso relativo alla morte del giovane Trayvon Martin, e del successivo processo a George Zimmerman, in questi giorni sono già state versate quantità industriali di inchiostro, su entrambe le sponde dell’Atlantico, e non solo. L’esito dell’udienza, che ha avuto un’attenzione mediatica simile a quella riservata ai casi Rodney King e OJ Simpson negli anni ’90, con immancabili conseguenze sul fronte della pentola a pressione dei rapporti sociali inter-razziali, ha fatto e fa tuttora discutere. Anche in Italia, come spesso accade per tutto ciò che desta clamore oltreoceano, i media hanno dedicato ampia attenzione al caso, raccontato con dovizia di particolari nelle pagine degli esteri delle principali testate. Ecco perché, in queste righe, non si entrerà nel merito della vicenda, già abbondantemente trattata altrove, ma ci si soffermerà su un particolare curioso, riguardante il modo in cui l’uccisione di Trayvon Martin, e la successiva causa penale, siano stati raccontati dai giornali italiani.

Per cominciare, è necessario specificare che, come sempre, anche in questo frangente esistono delle fortunate eccezioni, e ciò non può che rappresentare una buona notizia: seri professionisti che, quotidianamente, portano l’America nelle case degli italiani, raccontandola in maniera impeccabile, scevra da influenze ideologiche di qualsivoglia natura o da assurdi pregiudizi. Maurizio Molinari, Francesco Semprini e Paolo Mastrolilli de La Stampa (con un direttore filo-USA come Mario Calabresi, già inviato a New York, non si poteva non contare su un team di all-star), Paolo Valentino, Massimo Gaggi e Guido Olimpio del Corriere della Sera, Mario Calvo Platero del Sole 24 Ore, giusto per citare alcuni dei migliori esempi di americanisti in dotazione alle maggiori testate del nostro Paese.

Aldilà di queste eccezioni, buona parte della stampa nostrana, nel descrivere i fattacci di Sanford, Florida, ha indugiato su un particolare. Basta dare un’occhiata ai titoli degli ultimi giorni. Il Tg1, probabilmente il principale organo di informazione televisiva d’Italia: “Assolta la guardia giurata Zimmerman”. Panorama, autorevole settimanale: “Il verdetto che ha assolto la guardia giurata”. Anche il sito Rai.it: “Assolta la guardia giurata”. TMNews: “Assolta l’ex guardia giurata”. YahooNotizie: “Assolto George Zimmerman, ex guardia giurata”. Lo stesso vale per gli articoli di decine, centinaia di altri organi di informazione, che ciecamente si sono fidati di alcuni lanci di agenzia, riproponendoli. Insomma, tutti a dare notizia sulle sorti della guardia giurata Zimmerman, assolta dall’accusa di omicidio.

C’è solo un piccolo, non trascurabile, dettaglio: George Zimmerman, protagonista della vicenda, accusato di omicidio e assolto dal tribunale della Florida, non è una guardia giurata. Non la è, non la è mai stato, e si presume non la sarà mai. Anzi, svolge(va) tutt’altro mestiere. “At the time of the shooting, he was employed as an insurance underwriter and was in his final semester at Seminole State College for an associate degree in Criminal Justice”, riporta l’edizione a stelle e strisce di Wikipedia. Ovvero, lavorava nel settore delle assicurazioni (colui che valuta i rischi, nello specifico), e stava studiando al college per conseguire una laurea in giustizia penale.

Com’è dunque possibile che alcune delle più rinomate e autorevoli fonti d’informazione italiane possano essere cadute in un errore così grossolano? Probabilmente, a trarre in inganno è stata la descrizione della sua qualifica di “coordinatore” del “Neighborhood Watch” della piccola comunità dove risiedeva, e dove è avvenuto l’episodio incriminato. Concetto piuttosto oscuro all’italico pubblico (e al mondo non-anglosassone in generale), il “Neighborhood Watch” è una realtà presente negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e anche in Australia, e sta a definire un gruppo di cittadini che, volontariamente, si organizzano per prevenire il crimine e fenomeni di vandalismo. Negli USA è molto diffuso, e trae origine dal “town watch” di epoca coloniale, una forma di sostegno alla legalità e contrasto alla criminalità con “pattugliamenti” da parte di residenti – per lo più disarmati – che, in caso di anomalie, sono tenuti a informare immediatamente le forze dell’ordine richiedendone l’intervento. Qualcosa di simile alle “ronde”, termine divenuto pressoché inutilizzabile in Italia a causa dei significati politici (e delle polemiche correlate) attribuitigli negli anni scorsi. Proprio in virtù della sua qualità di “capitano” dei volontari del “Neighborhood Watch” (gruppo formato nel 2011, nel quartiere dove ha perso la vita Martin), Zimmerman è stato probabilmente scambiato, da alcuni cronisti italiani, per una guardia giurata.

Certo, il mestiere dell’accusato e poi assolto rappresenta, se vogliamo, una minuzia nel più ampio quadro generale della vicenda e, senza voler essere pignoli a tutti i costi, la sua qualifica professionale non cambia il senso della storia. Tuttavia, questo elemento può e dovrebbe far riflettere, più che sul giornalismo in sé, sul modo in cui le notizie dall’estero vengono trasferite in Italia, un procedimento che, tra interpretazioni errate o traduzioni avventate, può dare vita a piccoli grandi fraintendimenti, una sorta di riedizione in chiave moderna del gioco del “telefono senza fili”, riadattato all’informazione. Dove un apparentemente insignificante dettaglio errato, ripreso e rilanciato, può trasformarsi in una notizia non corrispondente alla realtà, accettata come verità conclamata e come tale percepita dal pubblico italiano, che proprio grazie ai mezzi di informazione costruisce ed elabora le proprie opinioni. Il proverbiale battito d’ali di una farfalla che, per la teoria del caos, si tramuta in un terremoto. O, per essere più attuali, l’assicuratore-studente che si trasforma in guardia giurata.

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