Lontano dalle cronache, dietro le sbarre vivono milioni di brasiliani. Ogni tanto fanno rumore: lì nelle carceri, dove sono rinchiusi accalcati, si ribellano. Eppure non c’è solidarietà per loro da queste parti. La colpa che difficilmente riusciranno a scrollarsi di dosso è quella di ricevere uno stipendio pari a 970 reais al mese direttamente dallo Stato. “Qui la pensione minima di chi ha lavorato onestamente tutta una vita si aggira intorno ai 600 reais”, mi racconta Juliana.
Appartiene alla quarta generazione di una famiglia di italiani, salpati dal Veneto, a cercar fortuna nell’altro mondo tanti decenni fa, e oggi grida allo scandalo. Juliana si professa certa che al presidente Dilma Rousseff non sarà concessa un’altra possibilità di riscatto alle elezioni presidenziali in calendario il prossimo anno. “Nel periodo elettorale i nostri politici si inventano qualsiasi promessa pur di accaparrarsi voti. Questo è il desolante risultato”.
L’etichetta del “Nao farei magicas na economia” – ossia non farò trucchi per risanare l’economia – che amava sbandierare il suo predecessore, Lula da Silva, appare ormai uno slogan scolorito. Nell’arco di dieci anni, dal suo avvento sulla scena politica, il Brasile, si è reinventato. Il Pil procapite del Paese è aumentato del 28%. Mettendolo a fuoco al rallentatore è salito di anno in anno del 2,5% a partire dal 2003 fino al 2012.
Ancora di più – secondo i dati dell’istituto brasiliano Ipeadata/ Ibge – la disparità fra la classe degli emarginati e quella dei ricchi nel Paese si è assottigliata. Oltre i numeri delle statistiche, c’è però un’altra verità dal sapore amaro. “Per uscire dalle secche della disuguaglianza sociale, qui di strada da percorrere ce n’è ancora tanta”, riprende Juliana. Mi spiega che in Brasile i trasporti pubblici e la sanità sono ancora un miraggio. Anche la scolarizzazione resta un tallone d’Achille.
“In questi anni non abbiamo ricevuto più scolarizzazione, c’è solo più informazione, perché internet circola liberamente e con l’avvento dei cellulari tutti hanno avuto accesso ai giornali”. Come dire: quello che prima finiva fra la polvere, adesso arriva alle orecchie di quasi tutti i brasiliani. E così anche quello stipendio da 970 reais – che ogni mese finisce nelle tasche dei carcerati – finisce per fare rumore. Forse l’anno prossimo sarà un motivo in più per imprimere una svolta politica nel paese.
@ Micaela Osella