The question postPupille che si dilatano: intervista a Manuele Fior

Manuele Fior ha da poco pubblicato il suo nuovo fumetto L'intervista per Coconino Press. Raniero è uno psichiatra, Dora è una sua giovane paziente. Siamo a Udine nel 2048. Improvvisamente le person...

Manuele Fior ha da poco pubblicato il suo nuovo fumetto L’intervista per Coconino Press.

Raniero è uno psichiatra, Dora è una sua giovane paziente. Siamo a Udine nel 2048. Improvvisamente le persone avvertono il passaggio di presenze extraterrestri, che genera reazioni emotive inaspettate e segna una svolta nelle relazioni affettive.

Dora, la protagonista della tua storia ambientata nel futuro prossimo, appartiene alla “nuova convenzione”, un tipo di organizzazione sociale dove non esiste più esclusività emotiva e sessuale tra le persone. Cosa ha spinto la tua fantasia in questo territorio?

MF: L’idea che la nostra società possa evolvere verso strutture diverse da quelle che abbiamo conosciuto fino ad ora. Mi ha sempre stupito, osservando le generazioni precedenti alla mia, quanto il concetto di famiglia si sia trasformato. Mia nonna aveva quattro fratelli, erano mezzadri e lavoravano tutti per lo stesso padrone, per cui vivevano sotto lo stesso tetto. Questo faceva sì che i nipoti diventassero quasi dei figli, i cugini dei fratelli. La struttura familiare era molto allargata, contava una trentina di persone. Poi è arrivata la generazione dei miei genitori, la famiglia nucleare. Oggi infine il modello è rimesso fortemente in discussione e tutto questo nell’arco di neanche cent’anni. Tra un altro secolo gli scenari potrebbero essere imprevedibili.

L’arrivo degli extraterrestri segna un passaggio nella vita delle persone, che da un certo momento possono usare la telepatia per le loro comunicazioni. Dora, quando a 130 anni incontra i ragazzi della nuova generazione, ricorda che “conoscere a fondo qualcuno senza poter leggere i suoi pensieri non era semplice”. E mostra loro come erano le relazioni “prima”: il rischio di dare fiducia ad un’altra persona, lo sforzo di spiegarsi per comprendersi, la possibilità di mentire. Poter comunicare telepaticamente sarebbe più facile o meno interessante?

MF: Una volta parlavo con un’amica, le dicevo – pensa che bello se potessimo leggerci nel pensiero. “Meno male che non possiamo farlo” – mi rispose – “sarebbe un incubo”. Ci siamo fatti quattro risate e io ho convenuto che sarebbe stato un casino. Ma perché obbligatoriamente un incubo? Nel senso che, passata una certa fase di assestamento, forse l’assurda possibilità di leggersi nel pensiero porterebbe a un certo appiattimento dei contrasti e forse anche a un’uniformazione delle personalità. Nel mio fumetto immagino delle persone che hanno veramente risolto tutta una serie di conflitti interiori e intergenerazionali grazie alla telepatia ma in cambio hanno perso una specie di peculiarità e individualità del carattere. Questa omologazione non è da vedersi come solo negativa, ma come semplicemente passo evolutivo della società e anche dell’umanità.

La figura di Dora è irresistibile: sinuosa, ironica, determinata. Una giovane donna che conquista le attenzioni di Raniero ma fatica a comprenderlo fino in fondo. A partire dal titolo, L’intervista, sembra che il cuore del tuo libro risieda in una riflessione sull’importanza di capirsi. La continua condivisione a distanza dei nostri sentimenti (una sorta di tele-patia, appunto) attraverso le tecnologie che usiamo di continuo ci sta privando di una più autentica capacità di comprensione reciproca?

MF: Non so ancora in che termini, ma sicuramente la comunicazione elevata a forma di idolatria sta cambiando enormemente la maniera di relazionarsi agli altri. Ogni tanto ho quasi l’impressione che la comunicazione sia diventato un dovere, un lavoro da svolgere obbligatoriamente. I famosi 15 minuti di celebrità di Warhol sono ancora pochi rispetto al tempo di esposizione che possiamo avere oggi, non si può pretendere di uscirne indenni. Questo va a scapito della comprensione, secondo me. La comunicazione istantanea è un gioco di specchi che riflettono idee troppo semplici, poco masticate. C’è bisogno di tempo e parole per capirsi, io non credo che si possa fare in 140 caratteri.

Il tratto con cui disegni le figure femminili ha sempre una certa grazia: che siano donne morbide o esili, giovani o mature, sono animate da movimenti, pose e tratti estremamente femminili. Quali caratteristiche, in un disegno, riescono a esprimere la femminilità?

MF: Ho una specie di venerazione per la femminilità, mi attira il corpo come i suoi vestiti, e in un certo senso trovo molto spontaneo adattare il disegno a qualcosa che sia femminile, piuttosto che maschile. Dipende poi dai momenti, ma penso che la linea che più mi rappresenta sia quella tesa e sinuosa. Quando invece passo alle cose più pittoriche, mi trovo a fare tanti segni spezzati, a tagliare le forme con la scure. Nella pittura la linea curva mi sembra che rammollisca, preferisco la forma grezza.

Nel tuo libro precedente, Cinquemila chilometri al secondo, i colori erano molto accessi e strettamente legati allo sviluppo della narrazione. Nel nuovo lavoro hai scelto il bianco e nero. Ci sono molte scene notturne in cui lo sguardo si immerge nelle pagine come quando la pupilla si dilata al massimo per riuscire a vedere anche se è buio. Riusciresti ad immaginare questa storia a colori?

MF: Sicuramente no, mi sarebbe stato difficile all’inizio, ora che il libro è fatto è impossibile pensarlo diverso. Volevo in effetti che tutto il libro fosse giocato sulla pupilla che si restringe e si dilata, sulla sotto e sovraesposizione. Ora sono pronto a ripartire con i colori.

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