Notizia degli ultimi giorni, The Washington Post venduto a Jeff Bezos per 187 milioni di euro – meno del 1% dei ricavi della sua Amazon, ma abbastanza per portarsi a casa la gloriosa testata.
Alla notizia dell’acquisizione del Washington Post da parte di Bezos, l’ironia si è scatenata in Rete. Fonte: joyoftech.com
La domanda che circola nell’aria e sulle pagine dei quotidiani è se Bezos abbia dato il là ad una serie di effusioni fra i tech-magnati e l’editoria quotidiana.
Si devono ipotizzare altri Bezos fare acquisti di testate giornalistiche? É possibile, se non probabile, per diversi motivi.
Il primo è che sembra che ci sia una svendita di testate in corso. Svendita che attira investitori non-editori, e non solo fra i giganti del digitale. Il New York Times, per esempio, si separa da un’altra testata gloriosa, il Boston Globe, che si accasa da un magnate del baseball. Nel 1993 il NYT aveva pagato il Globe la cifra-record di 1,1 miliardi di dollari, ma era ancora un’epoca “pre-Internet” – un’era geologica addietro – ed ora viene venduto per soli 70 milioni.
A conferma della stagione di saldi, recentemente Warren Buffett, l’imprenditore più ricco degli Stati Uniti, ha fatto incetta di quotidiani locali, e così vorrebbero fare i fratelli Koch, interessati al Los Angeles Times e al Chicago Tribune.
LISA BENSON – Washington Post Writers Group. Fonte: http://goo.gl/spDmPY
Altro motivo per cui è ipotizzabile l’apparizione di altri Bezos nell’industria dell’informazione: oltre che alle diete dimagranti, il bilancio del New York Times torna in utile grazie ad una significativa crescita nel numero di abbonati alle edizioni digitali. Ciò nonostante la continua contrazione del mercato pubblicitario.
Gli sforzi di innovazione digitale – nella distribuzione, nel formato, e nei modelli di profitto – danno quindi i loro frutti: si veda per esempio il successo di alcune sperimentazioni multimediali e il servizio Need To Know per lettori occasionali. In questo contesto, investitori provenienti dal mondo di Internet potrebbero dare un’ulteriore accelerazione all’innovazione del settore dei quotidiani, fornendo competenze ma anche visione e capacità esplorative.
Molto indicatori mostrano come (almeno negli Stati Uniti) la fruizione di notizie sia in crescita fra gli utenti delle tv nazionali e locali, come fra quelli della radio e di Internet. Ed anche dei dispositivi mobili, perché tablet e smartphone intensificano la fruizione di news da parte degli utenti. Utenti che sono anche abituati a pagare per i servizi veicolati dalle app. Chi ci guadagna però non sono i giornali. Cioè coloro che le notizie le macinano in redazione. Ci guadagnano altri. E questo è un ulteriore motivo che fa ipotizzare che altri Bezos faranno acquisti di testate giornalistiche.
Apple, Google, Facebook, Aol, Amazon, Yahoo e Microsoft sono organizzazioni che hanno l’innovazione nel loro dna e Internet e la telefonia come territori naturali. Giganti che portano in dote l’accesso a una vasta prateria di pubblico. I quotidiani non possono che farsi concupire da loro per entrare nei giusti circoli. Il conto del matrimonio è però piuttosto salato. Apple per esempio chiede ai quotidiani il 40% dell’introito degli inserti pubblicitari delle pagine a cui gli utenti arrivano tramite app, Google una quota di poco inferiore. E il matrimonio d’interesse non finisce qui. Senza redazione e reputazione dei quotidiani, i tech-magnati non avrebbero altrettanti contenuti di qualità da offrire. E infatti, ancora la maggior parte dei siti di informazione più visitati sono gestiti da testate tradizionali. Ecco quindi spiegata la concupiscenza delle tech company verso le organizzazioni dell’industria dell’informazione: Yahoo! si avvale dei report di ABC News, YouTube lancia canali di informazione gestiti da Thomson Reuters; AOL acquisisce l’Huffington Post, e…e…e… (riguardo a ipotesi di modelli di innovazione, vedi mio post Google guadagna più di tutta l’industria dei quotidiani: iniziate a chiudere le edicole)
NICK ANDERSON – Houston Chronicle / WPWG. Fonte: http://goo.gl/spDmPY
Ulteriore motivo di avvicinamento fra i tech-magnati e nell’industria dell’informazione lo suggerisce Laura Slattery dell’Irish Times e potrebbe risiedere nella forma mentis degli analoghi di Bezos, nella loro attitudine di problem solver e negli interessi ecclettici.
Bezos, per esempio, e la sua Amazon, sono un lampante caso di ecclettismo multi-settoriale e di apprendimento continuo. Dalla vendita di libri online, Amazon si è espansa presto offrendo numerosi altri prodotti: CD musicali, DVD, software, elettronica, abbigliamento, cosmetici, strumenti musicali, e tanti altri, sempre rendendo possibile ai clienti di recensire i prodotti sulla pagina, formula di community poi declinata da molte realtà online, da iTunes a Facebook. A seguito di un processo di innovazione continua e forte della infrastruttura tecnologica e della conoscenza accumulata, nel 2006, Amazon arriva a offrire servizi di Cloud, qualcosa di molto lontano dal settore in cui operava in partenza. Esempio quindi di capacità di innovazione, di spill over tra settori e di approccio ambidestro (nel consolidare l’attività di vendita online di libri mentre esplora altre possibilità anche molto lontane dal business originario).
Bezos, inoltre, è anche l’imprenditore di un’agenzia per il turismo spaziale suborbitale, la Blue Origin. Nel 2011, un razzo prototipale della Blue Origin è esploso durante un volo di test, la sperimentazione di nuovi modelli di profitto e sistemi di distribuzione dovrebbe essere un po’ meno complicata.
Elon Musk, imprenditore di PayPal non ha le disponibilità di capitali dell’infinitamente più ricco uomo Amazon, però anche lui ha la passione per lo spazio. Musk ha infatti dato vita a SpaceX , azienda costrutrice di razzi per il trasporto di persone dalla Terra a Marte. Di fronte a una sfida simile, acquisire quotidiani e adattarne l’organizzazione all’era dei social media non dovrebbe essere un grande problema per lui.
Sergey Brin, co-fondatore di Google, per adesso non guarda alle stelle ma al benessere nelle stalle, essendo il finanziatore del primo hamburger sintetico della storia, prodotto con cellule staminali coltivate in laboratorio e non uccidendo un animale.
Forse scottato dalle difficoltà attraversate da Google News, Brin per adesso sembra più concentrato ai contenuti video e a YouTube, i Google Glass però adombrano all’industria dell’informazione che nel prossimo futuro la realtà virtuale presenterà ulteriori sfide.
Il multimiliardario high tech più famoso, Bill Gates, magari in futuro potrebbe invece inserire tra le sue atttività benefiche anche il salvataggio di alcuni fra i tanti redattori che vedono il loro posto svanire. Ma per adesso non se ne ha notizia.
Mark Zuckerberg di Facebook, grande amico di Donald Graham, ex proprietario del Washington Post, pur avendo rivolto già da tempo l’attenzione al giornalismo e ai suoi contenuti, per ora mostra più interesse nel far transitare le inserzioni pubblicitare dai quotidiani al social network.
Forse Mr. Twitter, Jack Dorsey, sarà presto interessato ad investire anche nella produzione di notizie e non solo nella distribuzione? Per ora, @TwitterForNews è l’account di Twitter che mette in luce le pratiche innovative nell’uso dei tweet da parte dei giornalisti e delle redazioni.
Però in futuro chissà, tanto più che anche gli interessi di Dorsey sono alquanto eclettici. Forbes riporta che Mr Twitter sia anche un massaggiatore professionista, e come commenta Laura Slattery dell’Irish Times, “ciò gli può dare il potere incommensurabile di sciogliere le tensioni in qualsiasi redazione”. Ed aggiungerei, anche la consapevolezza che davvero il medium sia sempre più il massaggio. Non solo nel significato dato nella vecchia lezione di McLuhan, il quale tratteggiava l’effetto che ogni mezzo di comunicazione ha “in sé” sui sensi, ma anche perché il medium di comunicazione per eccellenza, il quotidiano, massaggia l’ego e corrobora le prestazioni di molte attività dei magnati di Internet.
Cosa significa tutto ciò per la qualità e la libertà di informazione? Questa è un’altra domanda…