Scrive fanfiction e viene reclutato fra gli sceneggiatori di “Star Trek: Voyager”. È Bryan Fuller, mastro-penna della pluripremiata “Pushing Daisies” e il sanguinolento “Hannibal”
Chi è convinto che scrivere fanfiction sia solo un dilettevole passatempo, che certo non frutta quattrini ma solo un’aria da svitato perdigiorno, bé, dovrà ricredersi a sentire la storia di Bryan Fuller, oggi autore tv di successo.
Classe 1966, pasciuto a pane e “I Mostri” (la serie tv), approda al Lewis-Clark State College con un’idea vaga sul percorso lavorativo da imboccare. Ha sempre nutrito una passione per cinema e derivati tv, ma sembra non abbia mai concretamente soppesato la possibilità di occuparsene professionalmente. Provvidenziale è l’intervento di un docente, che folgorato dal suo saggio su “Alien”, il colosso cinematografico di Ridley Scott, lo esorta nel cammino verso la settima arte.
Così, trasloca nella luccicante Los Angeles. Punta a una specializzazione presso la USC School of Cinematic Arts, ma ecco che si consuma la delusione: con le saccocce depauperate, deve mollare gli studi.
Fuller però non demorde: pur piombando nella grigia realtà lavorativa dove i sogni sono confinati nelle ore notturne e non c’è modo che si concretizzino di giorno, non si scrolla di mente le velleità cine-letterarie. Per cinque anni si sostenta con lavoretti saltuari, frattanto ritaglia tempo per la scrittura. Stende racconti e script basati su “Star Trek”, infatuatosi da piccolo della mitologia di quell’universo seriale così variegato.
Quando la produzione di “Deep Space Nine” (terzo spin-off della saga in onda dal ’93 al ’99) si apre alle proposte dei fan, coglie la palla al balzo: invia una sceneggiatura, e quando questa viene ricusata senza troppi complimenti, ancora non rinuncia. A costo di passare per folle esaltato, preme per ottenere un incontro coi produttori esecutivi.
Avviene il miracolo: venuto a capo dell’impresa, illustra concept episodici dinanzi a uno scetticismo generale che piano piano sfocia nell’entusiasmo. Persuasi del potenziale narrativo, la ‘crew’ ne acquista gli abbozzi di trama e affida alle sue cure la realizzazione dei copioni, che divengono gli episodi 11 e 24 della quinta stagione (“Le tenebre e la luce”, “Empok Nor”).
Svolto il lavoro, è ancora richiesto il suo impegno. Nel ’97, Fuller rimbalza nella scuderia autoriale di “Star Trek: Voyager”, al quarto ciclo. E da lì, inaugura l’ascesa verso il vertice creativo: l’anno successivo ne riveste la carica di story editor, nel sesto anno assume la posizione di produttore esecutivo. Un percorso fulminante che lo consacra nel firmamento degli screenwriter televisivi, con 19 sceneggiature firmate.
Ma non di soli successi è punteggiata la sua carriera. Conclusa la serie fantascientifica, nel 2003 si butta su un nuovo progetto, anche questo avulso dal mero drama soapposo: per Showtime mette in piedi “Dead Like Me”, un fantasy imperniato su un gruppo di spiriti col compito di facilitare altri trapassi. È il primissimo show da lui capeggiato, ma l’eccitazione cede presto il passo all’amarezza: i capoccia della Metro-Goldwin-Mayer (la casa di produzione) si rivelano cauti tradizionalisti e bocciano l’idea di introdurre personaggi omosessuali. Un peccato perché è così che inizialmente è concepito Clancy Lass, il padre della protagonista Georgia. Non una scelta ad casaccium, sia chiaro: sarebbe stata una particolarità funzionale alle trame, volta a sottolineare come la sua esistenza non fosse prevista, risaltando il tema della labilità della vita.
Ma non finisce qui. Alla MGM si spingono oltre, verso il precipizio degli insulti. “Poiché gay, mi sentivo ripetere continuamente che non sapevo come fosse una bella donna. Una compagnia di produzione rozza e volgare, la mia peggiore esperienza lavorativa. Cercavano sempre di intimidirmi.”, racconta.
Dopo il quinto episodio della prima stagione, abbandona la nave lasciandola ondeggiare sulle acque agitate degli ascolti. Tutto fino al 2004, quando approda alla cancellazione.
Ora lo sceneggiatore, allungato l’occhio vispo al successo del crowdfunding di “Veronica Mars – The Movie”, ha contattato per delucidazioni Rob Thomas, il papà della signorina in giallo, con la speranza di portare la sua creatura sul grande schermo.
Altra cocente delusione risale alla passata stagione tv, quando col remake de “I Mostri”, comedy horror anni ’60 a là “Famiglia Addams” non riceve l’ordine per una serie tv. Un telefilm cui è visceralmente affezionato, per cui spendeva fiumi di lacrime quando da piccolo si azzuffava coi fratelli per la conquista del telecomando, preferendogli “L’isola di Gilligan” e “Il carissimo Billy”. Un telefilm che, sostiene, ha cambiato la sua visione del mondo, e di riflesso il suo stile di scrittura.
Il rifacimento, che nel cast avrebbe annoverato Portia De Rossi ed Eddie Izzard, si intitola “Mockingbird Lane” e – nonostante il pieno appoggio di Jennifer Salke, dirigente NBC, che si dice soddisfatta pur non avendo idea del pubblico di riferimento – viene trasmesso il solo episodio pilota spacciato come film tv ad Halloween 2012.
Sempre per la “rete del pavone” rimette in sesto il mito di “Hannibal”, la serie che porta sul tubo catodico le barbarie letterarie e cinematografiche del serial killer-cannibale. Un lavoro cui è giunto un po’ per caso, durante un volo in cui l’amica produttrice, Katie O’Connell, gli annuncia l’acquisizione dei diritti sui romanzi di Thomas Harris. “Che ne pensi di una serie su Hannibal?”, gli fa questa. Ed ecco che si mettono in moto gli ingranaggi creativi, al che Fuller risponde: “Hai anche i diritti per il personaggio di Will Graham (il detective rivale del killer, ndr)?” Alla conferma, germogliano i primi spunti di quello che sarebbe assurto a un sofisticato prodotto televisivo a metà tra il poliziesco procedurale e il thriller psicologico, una strizzata d’occhio ai cinefili di bocca buona che snobbano la tv pubblica. Anche questo – poiché ispirato a un’icona dell’horror cine-letterario amata ai tempi del liceo – un progetto assimilabile alle fanfiction.