Altro Che SportL’hockey prato e la trappola dello «ius soli»

  Sabato scorso, 5 ottobre, sono cominciati i campionati italiani di Serie A1 e A2 di hockey su prato. Dovrebbero essere i primi tornei del nostro Paese in cui è in vigore lo «ius soli», ovvero il ...

Sabato scorso, 5 ottobre, sono cominciati i campionati italiani di Serie A1 e A2 di hockey su prato. Dovrebbero essere i primi tornei del nostro Paese in cui è in vigore lo «ius soli», ovvero il diritto di essere considerati italiani per i giocatori nati sul nostro suolo nazionale, e quindi di essere schierati senza limitazioni dalle squadre.
Cioè, questo è quanto hanno scritto compatti i giornali principali, sia su carta (per esempio la Repubblica del 2 ottobre, con un articolo a firma di Francesco Saverio Intorcia) sia le loro versioni online. Ma questa interpretazione sembra una bella trovata di marketing del presidente federale, Luca Di Mauro, per far parlare del suo sport e di uno dei problemi sociali di questa epoca: l’integrazione degli immigrati, da ovunque essi provengano, nel nostro tessuto sociale.

Di Mauro ha intuito (intervistato da Radio 24, qui il link d’annuncio sul sito web federale) che per la maggior parte dei mass media nostrani i numeri della sua Federazione non sono granché significativi: circa 10˙000 tesserati, ultima partecipazione Olimpica a Roma 1960 ma solo in qualità di Paese organizzatore (qui qualche dato dalla Wikipedia). Pertanto la notizia dell’inizio dei campionati non sarebbe stata granché presa in considerazione.
Ci voleva qualcosa di più per suscitare interesse. Un argomento forte come quello dello ius soli, entrato nel discorso politico nostrano grazie a Cécile Kyenge – primo ministro di colore della Repubblica italiana, nata in Congo e naturalizzata italiana.

Parlando prosaicamente, la questione si ridimensiona un po’. In quasi tutte le organizzazioni sportive si pone il problema di come innalzare il contenuto tecnico dei campionati, importando giocatori e tecnici dalle nazioni più avanzate, però in quantità limitata, per salvaguardare i giocatori locali garantendo loro un numero di posti adeguati nel roster.
La Fih di Di Mauro ha avuto l’idea di considerare, dal punto di vista burocratico, italiani anche i giocatori nati su suolo italiano anche se da famiglie di origine straniera. La decisione agevolerà la carriera nelle nostre squadre di circa 50 ragazzi nati qui – considerando che nei nostri campionati di hockey prato giocano già 343 giocatori di origine straniera, di cui 93 provenienti da Paesi dell’Unità Europea e 250 da Paesi extracomunitari.
Peraltro questa regola dello ius soli potrà valere soltanto per il campionato. Per la convocazione in Nazionale occorre avere la cittadinanza, e per quella valgono le leggi in vigore secondo cui un figlio di stranieri, anche se nasce su suolo italiano, diventa cittadino soltanto al compimento del 18° anno d’età, e qualche volta nemmeno in maniera automatica. Queste leggi hanno motivazioni valide sotto tanti aspetti, ma dal punto di vista sportivo sono delle iatture. In quasi tutti gli sport, infatti, il periodo dell’adolescenza prima dei 18 anni è quello decisivo dell’individuazione del talento – se un ragazzo dotato non trova sbocchi adeguati in Italia, può sentire di non essere accettato, ed emigrare altrove.

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