Jack London inizia “Martin Eden” raccontando di un povero marinaio, rozzo e ignorante, che entrando per la prima volta in una casa aristocratica resta affascinato dalla cultura, dai libri, dall’arte che veniva custodita in quelle stanze. Siamo nell’America di inizio Novecento, più di un secolo fa.
Altri tempi. Oggi l’istruzione non è più una virtù. Oggi la cultura non è un più valore. Se per la madre di Guccini un laureato contava più di un cantante, oggi le famiglie mandano i figli ad “Amici”. Per l’uomo della strada, per il commentatore medio l’università è una “perdita di tempo” e la laurea utile solo per i call center. Non è così, ma si va imponendo sempre più questo concetto.
L’idea della formazione personale, del proprio arricchimento culturale non esiste più. Anzi essere stati bocciati a scuola diventa un motivo di vanto. Chi sbaglia i congiuntivi non è un ignorante ma uno che parla la lingua del popolo. Se un tempo l’enciclopedia erano scritte dai massimi esperti in materia, oggi Wikipedia viene compilata dal primo che passa. I musei sono vuoti, i monumenti decadono e un ministro sa che raccoglierà voti e consensi dichiarando che “con la cultura non si mangia”.
Il populismo e la tuttologia hanno divorato il rispetto verso le competenze o l’esperienza. Tutti sono diventati esperti di tutto, tutti sanno tutto. Un sapere che però non si fonda su ricerche, ma piuttosto sulle sensazioni, sulle emozioni, sulla pancia. Un sapere prescientifico che non ha bisogno di studiare e quindi non comprende e non rispetta chi ha studiato. Non che il rispetto debba essere automatico perché magari c’è chi ha studiato male, però almeno ascoltare ciò che dice. Magari potrebbe essere anche uno che ha studiato bene.
Ma questo passaggio non esiste. Tutti sanno tutto. Nella sala d’attesa dei medici spesso compaiono manifesti con scritto: “Fidati di noi”. Tentano di scoraggiare –senza successo– la malsana abitudine di molti che non vanno dal dottore per farsi visitare ma per ordinare la diagnosi.
Il sindaco di New York, Micheal Bloomberg, ha scritto un editoriale congiunto con il collega di Hong Kong per invitare i cittadini ad informarsi prima di attaccarli sui social. Capire concetti come la programmazione urbanistica o le complesse leggi che regolano bilanci e appalti prima di venire a proporre soluzioni fantascientifiche e irrealizzabili ai problemi delle metropoli. Elaborare una soluzione, tenendo conto di tutte le variabili e della complessità del mondo. Ma chi prova ad intavolare un ragionamento di questo genere, viene subissato da insulti e accuse che spesso ruotano intorno all’aver studiato: “sei un professorone!” ad esempio. Oppure “ti senti importante solo per le tue lauree”. No, si potrebbe obiettare. Ma proprio perché ho una laurea in quel settore, forse ne so qualcosa in più.
Sembra di essere tornati ai tempi cupi in cui la sole gira intorno alla Terra perché così dicono la Bibbia e il senso comune. E il Galileo di turno che prova, con metodi scientifici, a ristabilire la verità viene azzittito, bruciato –insieme ai suoi libri– su qualche rogo digitale. Al posto delle superstizioni religiose, le supposizioni complottiste.
E’ bene precisare che chi ha studiato non appartiene ad una razza superiore. Un professionista non ha sempre ragione. Lo studio aiuta ma conosciamo tutti laureati o diplomati, molto più ignoranti dei complottasti o dei tuttologi da tastiera!
Io credo, invece, che tutti, laureati e non, dovrebbero iniziare ad approcciarsi ai problemi del mondo con maggiore umiltà. Ricordarsi del socratico “sapere di non sapere”. E poi affrontare quei problemi, cercando e ricercando il perché, il come, il dove, il quando, insomma capirlo e poi cercare anche l’eventuale soluzione, magari attingendo proprio a chi quel genere di problema lo conosce meglio perché lo ha approfondito, compreso, analizzato e addirittura risolto.
Tornare, insomma, a guardare con gli occhi lucidi e ammirati di Martin Eden il sapere e la cultura. Consapevoli che sono le uniche armi per costruire qualcosa di migliore.