Chi ha a che fare quotidianamente con i bambini sa che in loro presenza la testa deve essere sempre sveglia; i suoi ingranaggi devono lavorare meglio e più di quando si è con “i grandi”. Capita spesso, infatti, che ti pongano non una domanda, ma La Domanda. E possono farlo quando meno te lo aspetti: mentre fanno merenda, mentre aspettano l’autobus, mentre cercano il pezzetto di lego mancante. E se pensi che a loro basti una risposta sbrigativa e fugace, ti sbagli di grosso. A Domanda fatta loro vogliono La Risposta.
La piccola Gaia, seconda elementare, due giorni fa in occasione del lutto nazionale ha osservato rigorosamente in classe il minuto di silenzio per le vittime di Lampedusa. La sua maestra non ha mancato di spiegare cosa fosse successo il giorno precedente in una sperduta isola del Mediterraneo; ed io, fingendo di non sapere nulla e volendo ascoltare da lei tutta la storia, ho lasciato che mi raccontasse di come “tante persone sono cadute da una zattera infuocata, tipo quella di Jack il pirata”. Dopo dieci minuti di racconto, a metà tra la realtà e la fantasia di una bambina di 7 anni, ecco che nei suoi occhi brilla la luce della Domanda. Sta arrivando, penso, devo prepararmi. E immancabilmente arriva.
“Ma perché facciamo un minuto di silenzio per la zattera e non facciamo un minuto di silenzio tutti i giorni per quelli che muoiono a Milano e in tutto il mondo?”
Ok, penso, a questa posso provare a rispondere. Ma inaspettatamente aggiunge:
“Perché si fa un minuto di silenzio?”
Oh no. Questa è dura. Mi viene in mente un fiume di pensieri sospesi in disordine nella mia testa. Penso all’ipocrisia, all’inerzia, alle notizie dei giornali che scavalcano il Berlusconi News solo quando il numero di vittime è così alto che in prima pagina venderà sicuramente. Penso a quando ero in Sicilia e le notizie degli sbarchi arrivavano ogni giorno – e non solo da Lampedusa – anche se sui giornali nazionali non c’era traccia perché morti non ce n’erano. Mi viene in mente il valore della vita umana, che oscilla in base alla nazionalità di appartenenza – e questo è tanto inaccettabile quanto vero – e così certe questioni possono sempre aspettare o procedere a rilento. Penso che sia incredibile che nell’era del diritto internazionale, non ci sia un solo organo competente che riesca a stabilire una direttiva che fermi l’orrore. Penso alla “caccia al colpevole” che è puntualmente in agguato, ma tanto il colpevole è sempre qualcun’altro. Ai compassionevoli “vi accoglieremo” che alimentano speranze impossibili. Ai dispersi, che il mare riporterà indietro o forse più avanti – perchè il destino è sempre beffardo. Penso alle prese di posizioni, alle parole politicamente corrette, sempre ex post – ovviamente – quando le bandiere a mezz’asta sono levate e siamo a posto.
Penso all’importanza di un gesto simbolico come il minuto di silenzio. Ma in questo caso quello che è appropriato è un minuto di rumore. Di rumore forte.
Penso a tutto questo e La Risposta non arriva.
“Non lo so, Gaia. Mi sa che un giorno dovrai spiegarmelo tu.”