«I rifiuti rendono di più della droga» ha detto Carmine Schiavone, ex-boss dei Casalesi, uomo-profeta che ha predetto, sull’unghia e senza battere ciglio, la morte di qui a «venti anni» dei campani. E molto probabilmente, visti i traffici, i guadagni, i volti noti e meno noti che si celano dietro al grande – enorme, colossale – mercato della monezza, sarà veramente così. Altro che polverina bianca: la sacchetta nera rende di più, molto di più. Punto finale, ma non definitivo, di un ciclo dal respiro nazionale (e, talvolta, pure internazionale), lo smercio di rifiuti – che sono per la maggior parte speciali – ha fatto la fortuna di molti; e la sfortuna, in termini di salute, dolore e miseria, di ancora più numerosi. PM e procure le chiamano «ecomafie»: nel senso che, anziché arricchirsi costruendo o spacciando, queste famiglie (cartelli, cosche – chiamatele pure come volete) si sono arricchite con l’ambiente: distruggendolo.
Cipriano Chianese, imprenditore, politico e avvocato, sarebbe al vertice di questo sistema. Uomo vicinissimo al clan dei Casalesi, sessantaduenne, già agli arresti domiciliari. Ora in prigione, dopo un’inchiesta cominciata nel 2011 su segnalazione di un collaboratore di giustizia. Estorsione: questa è, ad oggi, l’accusa ufficiale. Estorsione di quote e di gestione di una società di trasporti. Senza considerare che l’idea di scavare, ammassare monnezza e ricoprire tutto sarebbe sua: un genio di cui, francamente, avremmo potuto fare anche a meno.
Nel ’94 – si scopre leggendo la biografia di Chianese – era candidato nelle liste di Forza Italia. Tramite la Mary Trans, società acquistata dai Casalesi tramite il fratello dello stesso Chianese, avrebbe organizzato e gestito l’intero (o almeno: buona parte del) traffico illegale di rifiuti. Uno sceicco del percolato, un signore indiscusso dell’amianto e del nocivo; mente sveglia, idee redditizie – talmente redditizie che pure il nord, nella persona di Franco Caccaro, produttore di macchinari per la triturazione dei rifiuti, ne avrebbe fatto parte. Non solo come attore passivo (il compratore, in soldoni, dei servizi della camorra); ma pure attivamente, da intermediario. Chianese non è certo nuovo alle indagini di questo tipo: già nel ’93, prima della sua «scesa in campo» (mai realizzatasi, per fortuna), era finito nel mirino degli inquirenti. Nel 2006, il primo fermo: sequestro dell’impianto di cui era titolare, e delle quote societarie di un’azienda attiva nel trattamento dei rifiuti (smaltimento compreso). Il processo è ancora in corso presso la Corte d’Assise di Napoli. Nel 2006, il 12 Dicembre, gli vennero sequestrati bene per un valore di 82 milioni di euro: ad aprile 2013, il sequestro è diventato confisca. E il re dell’ecomafia è in carcere.