Come in ogni monarchia che si rispetti lo scettro del potere deve restare all’interno della famiglia reale, e fintanto che un delfino non sia all’altezza allora la corona resta saldamente sulla testa del Monarca. In questo caso RE(ttore) Luigi Frati, dominus della più grande Università pubblica italiana nonché una delle più importanti d’Europa.
«L’Ateneo torni a essere un ascensore sociale». Aveva dichiarato solo tre (3) giorni fa all’apertura dell’anno accademico, in teoria l’ultimo da RE(ttore); tecnicamente è in pensione già dal primo novembre ma ha fatto «responsabilmente» richiesta (prontamente accolta) al Ministro di mantenere il posto sfidando una diffida del sindacato.
Per cui, dopo aver brillantemente parlato di “merito”, ecco che ieri è arrivata la notizia della chiusura delle indagini, il passo che precede di norma la richiesta di processo, per lo stesso RE(ttore), Luigi Frati. Infatti, secondo l’accusa dei pm avrebbe creato nel 2011, all’interno del policlinico Umberto I, l’ospedale universitario, un’unità programmatica autonoma rispetto a cardiochirurgia, mettendovi alla direzione Giacomo, suo figlio.
Ed ecco di quale “merito” parla il buon RE(ttore): cioè quello di chiamarsi Frati. E di essere componente della famiglia reale della Sapienza, quella che da tempo immemore regna sull’Ateneo più grande (e ricco) d’Europa.
Oltre a RE(ttore) e figlio gli indagati sono l’allora commissario straordinario dell’Umberto I, Antonio Capparelli, e l’ex direttore sanitario, Francesco Vaia, che avrebbero materialmente commesso l’abuso dispensando Frati jr. dal servizio assistenziale e di guardia presso la Uoc di Cardiochirurgia e attribuendogli la direzione dell’unità creata ad hoc, con propri posti letto e personale «di fatto voluta dal rettore Luigi Frati per favorire il figlio Giacomo», scrivono il pm Alberto Pioletti e l’aggiunto Francesco Caporale. Che aggiungono: «delibera che veniva adottata in carenza di qualsiasi parere o preventiva approvazione della Regione Lazio e pertanto in violazione di norme di legge o regolamento».
Ma non solo il giovane “delfino” ma anche tutto il resto della famiglia Frati è stato piazzato all’interno della Sapienza, con degli splendidi contratti a tempo indeterminato che paghiamo noi contribuenti (plebe). Infatti nella facoltà diretta dal RE(ttore) hanno trovato posto anche la moglie (la Regina), Luciana Rita Angeletti, laureata in lettere e docente di storia della medicina, e l’altra figlia Paola, laureata in legge e docente di medicina legale.
Ovviamente tutto senza considerare che il RE(ttore) è un habitué delle cronache giudiziarie, tanto è vero che lo stesso Tar (altra sezione) ha annullato di recente il decreto di sospensione emesso da Frati nei confronti del primario cardiochirurgo dell’Umberto I, Michele Toscano, a seguito della morte di una paziente. Una vicenda che su denuncia e accuse ribaltate dallo stesso Toscano ha strascichi ancora pendenti in sede penale. Dove altri due fascicoli riguardano Frati: indagato per la manipolazione delle cartelle cliniche dei malati sottoposti a terapia del dolore nel reparto di oncologia e chiamato in causa per l’errata somministrazione (due volte) di un farmaco antitumorale a un’altra paziente, che rischiò di morire e fu dirottata, per i pm, ad altre terapie per coprire le responsabilità. In questo caso, il «magnifico» in veste di primario si autosospese «per spezzare il legame mediatico tra attacchi alla persona e coinvolgimento della struttura». «Intimidazioni», disse, «e indegne speculazioni sui malati».
Adesso, tralasciando per un attimo l’ironia, è mai possibile che le Istituzioni (ricordo che la Sapienza è una Università pubblica) non intervengano per porre fine ad un malcostume tipico delle Università italiane, ma che all’Ateneo romano ha raggiunto vette di vergogna senza pari?