C’è qualcosa nelle parole e nel discorso che il neo Presidente del Consiglio ha scelto di fare alla Camera che (mi) dice che sia pronto a giocarsi il tutto per tutto. Non pur di vincere, ma pur di dimostrare che è giunto il momento di prendersi le proprie responsabilità. E che se i giovani non lo hanno potuto imparare dalle generazioni precedenti sta a loro anche questo ennesimo sacrificio, dare il buon esempio.
Anche se l’ambizione è carica di futuro e che viceversa al futuro ci si arriva se si è ambiziosi, non credo che a Renzi importi davvero vincere (certo vincere è sempre meglio e ci si deve pur provare); quel che importa è che bisogna “giocare” seriamente e in modo trasparente.
Quindi se dice che “di fronte alla crisi economica partirà dalla scuola” io ci credo. Voglio crederci anche perché pure io nel mio piccolo ci sto provando.
Cos’è la scuola, a cosa serve? C’è da chiederselo perché certo le tabelline si imparano, come anche si impara a leggere, ma poi del mondo e del sapersi muovere in esso, che cosa si impara? Ho ancora tanti dubbi su cosa davvero serva la scuola. Io personalmente ricordo con affetto solo alcune maestre e professori. Davvero pochi a dire il vero.
E va bene partire dall’edilizia scolastica. Inutile parlare delle finestre rotte, dei banchi con i buchi, dei bagni senza carta igienica. E allora attendiamo che Renzi chiami tutti gli ottomila sindaci e che ci faccia sapere quale prossimo passo ha in mente di fare. Io personalmente non gli chiedo promesse, chiedo solo di dichiarare il prossimo passo e realizzarlo. Intanto rimango in attesa di sviluppi. Ce n’è bisogno.
Non solo sull’edilizia, ma su tutti gli aspetti fondamentali per formare i cittadini di domani.
Ad esempio, gli insegnanti e la didattica. Facciamo valutazione dell’efficacia dell’insegnamento, ma anche valutazione delle risorse messe in campo per permettere lo sviluppo professionale dei docenti. Premiamo chi lavora con competenza, ma diamo loro la possibilità di lavorare con competenza. Non serviamoci del loro spirito missionario, alcuni potrebbero averlo perso di fronte all’indifferenza diffusa verso il loro mestiere.
“Partiamo dalla scuola”, ma bisognerebbe arrivare fino all’università, visto che i ragazzi presentano spesso gli stessi problemi lungo tutto il percorso formativo: non si soffermano a leggere le domande con attenzione, e quindi non le capiscono, non sanno scrivere, non trovano soddisfazione e stimoli, etc.
Certo che di fronte ai finanziamenti legati a doppio filo agli iscritti è difficile rendersi indipendenti dalla logica di mercato, e dalla sottile, quasi impercettibile, compravendita dei voti, dei diplomi e perfino delle lauree. Ma se dare voti bassi (giusti) ha un costo, bocciare ha un costo, fare formazione agli insegnanti ha un costo, nel lungo periodo quale costo avrà questo risparmio immediato?
E quindi partiamo dalla scuola. Continuiamo il lavoro sulla valutazione, non come controllo ma come incentivo al miglioramento. Una valutazione che parta dalla scuola stessa, dal suo cuore interno, dai problemi specifici di ogni scuola. Insegniamo alla scuola a gestire i propri processi interni, ad utilizzare efficacemente i risultati raggiunti dai ragazzi, ad individuare le criticità e diamole lo spazio, il tempo e gli strumenti per intervenire. Curricolo verticale, ampliamento offerta formativa, costruzione di rete con il territorio e con altre scuole, integrazione e differenziazione dei percorsi, monitoraggio dei risultati a distanza: insegniamo alla scuola ad imparare. Non chiediamo anche alla scuola di fare di più con meno. Chiediamo alla scuola di fare meglio dandole di più.