Performing Marrakech

Palazzo El Badii a Marrakech La chiamano “la città rossa”. La ragione è chiara fin dal primo momento in cui ci si mette piede. Sono a Marrakech, città moderna dal cuore antico, dove tutto è ...


Palazzo El Badii a Marrakech

La chiamano “la città rossa”. La ragione è chiara fin dal primo momento in cui ci si mette piede. Sono a Marrakech, città moderna dal cuore antico, dove tutto è intriso di questo colore. Con i suoi quasi mille anni di storia, è uno dei principali centri del Marocco e tra quei posti al mondo che ancora esercitano un fascino particolare sull’immaginario dell’Occidente. Qui i ryad fancy della medina stanno diventando il social hub di una scena artistica emergente nel cuore della città.

La “città rossa” ha avuto anche un passato glamour. Winston Churchill e Yves Saint Laurent hanno soggiornato qui a lungo.

Io ci resto solo 72 ore. Voglio visitare la V Biennale di Marrakech, che compie 10 anni.

L’edizione di quest’anno (la direzione artistica è di Alya Sebti) promuove interessanti talenti contemporanei locali e si concentra sul rapporto fra nuovi media e arte contemporanea. Una domanda-tema ha ispirato il titolo: “Where are we now?” La risposta è una amalgama di arti visive, cinema, video e letteratura che si traduce in un mese di eventi con mostre e performance pubbliche.

All’inizio Marrakech è soprattutto rumore. Per riconciliarmi con la città nel poco tempo che ho a disposizione decido di seguire solo sofisticate sound performance.

“Singing Maps and Underlying Melodies” curata da Clara Meister in collaborazione con S.T.I.F.F. e KamarStudios Morocco e musicisti marocchini, è la prima. Alle 17:30 di martedi’ 25 febbraio introduce nella piazza centrale di Marrakech una performance di musica tradizionale Nordafricana gnawa rivisitata in chiave elettronica. L’ascolto davanti all’umanità che popola questo luogo è un viaggio a se’. Il progetto si articola in 7 performance musicali che si insinuano (anche con segni grafici sui muri) in diverse location della medina, per suggerire una mappa alternativa di questa area.

A Marrakech trovo anche la sound performance di un artista turco che mi piace molto. E’ Cevdet Erek (dOCUMENTA(13)) in una delle venue principali della Biennale, Palazzo Badii, un edificio enorme del sedicesimo secolo costruito dal sultano Saadid Sharif Ahmad al-Mansour che è oggi sede del museo del Marrakesh Museum for Photography and Visual Art (MMP+) inaugurato in vista dell’apertura nel 2016 di un ambizioso nuovo museo della fotografia. Cevdet Erek , che alcuni anni fa avevo incontrato nel suo studio di Istanbul ed ero impazzita per il suo Cd Nekropsi, è qui con il suo Courtyard Ornamentation with Sounding  Dots and a Prison (2014) commissionato all’autore dalla stessa Biennale. L’installazione, che è una continuazione della presentazione alle Biennale di Sharja del 2013, è perfetta. Gli altoparlanti smaltati di bianco sembrano costruiti per la location. Sono collocati sulle pareti che circondano un cortile. Solo quando il visitatore trova lo “sweet spot” in una piattaforma centrale tutti i suoni si combinano, formando un ritmo riconoscibile. Nella stessa location, spicca anche l’installazione interattiva dell’indiano Asim Waqif dal titolo The Pavilion of Debris (2014) che combina tecnologia tradizionale con i nuovi media.

Nell’era della globalizzazione, una Biennale di arte contemporanea puo’ sembrare solo un avamposto decentrato dell’Occidente. In calendario a Marrakech ci sono grandi nomi dall’estero ed imprese mirabolanti. Ma l’edizione è una opportunità anche per gli artisti marocchini. “Quando ho iniziato nel 1993 (Marrakech, ndr) era un posto in cui mi sentivo solo perchè la gente non capiva che cosa stavo facendo”, spiega in una intervista pubblicata 4 mesi fa sul Guardian, Hassan Hajjaj, pop-artist originario di questa città che vive a Londra. “Il Marocco valorizzava soltanto le arti tradizionali. E’ stato solo quando Vanessa Branson (sorella di Richard Branson e fondatrice di questa Biennale, ndr) ha iniziato la Biennale che Marrakech è diventata una città adatta all’arte”.

Hassan Hajjaj partecipa all’edizione di quest’anno con l’installazione Le Salon un pop up shop in cui espone oggetti del suo Riad Yima, un mondo in fashion color in cui cartelli stradali diventano preziosi oggetti di design e sacchi di plastica riciclata babucce tradizionali marocchine. Il risultato è che alla fine non te ne vuoi piu’ andare. La location di Le Salon è lo spazio L’Blassa, un edificio abbandonato in stile Art Déco, all’angolo di via Liberté e via Yougoslavie. Qui incontro anche Hind Zahra.

Nonostante i progressi fatti negli ultimi anni, il Marocco resta un Paese pieno di contraddizioni. Il tasso di scolarizzazione in area rurale è due o persino tre volte inferiore a quello delle aree urbane. A tratti quindi, la comparsa della carovana della Biennale sembra una opera in cerca di audience.

Ma Marrakech resta una vetrina per gli artisti contemporanei. Anche se molti di loro sostengono che in Marocco gli affari si fanno sempre a Casablanca, dove le fondazioni delle grandi banche oggi investono in nuove gallerie ed eventi di arte contemporanea

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