In questi giorni si è discusso e votato alla Camera il cosiddetto Italicum, che per assonanza mi ricorda l’Italicus, che mi ricorda un attentato ad un treno diretto (guarda un po’) in Germania, che mi ricorda che la democrazia è un miraggio a rigor di logica, che mi ricorda come in un Paese come l’Italia persino parlare di legge elettorale è un esercizio da Bar Sport. Per i seguenti motivi:
- Democrazia. Non esistono leggi elettorali democratiche. Possono esserci dei princìpi molto semplici a cui fare riferimento quando si parla di democrazia, tre per la precisione: a) poter esprimere un ordine di preferenza sui candidati; b) che il risultato di una votazione sia determinato dai voti espressi; c) che se un candidato prende più voti degli altri, vince. Diversamente vuol dire che l’ultima parola non ce l’hanno gli elettori, ma il sistema di voto utilizzato. Bene, il matematico Arrow ha dimostrato nel 1951 – dimostrato, quindi rassegnatevi – che non esiste nessuna legge elettorale che rispetti questi tre princìpi elementari. In altre parole, non esiste nessun sistema democratico (nemmeno quello web, ma non ditelo a Grillo che potrebbe turbarsi).
- Le approssimazioni. Certo, si potrebbe ovviare dicendo che perlomeno si potrebbe optare per un sistema elettorale che si avvicini quanto più possibile all’ideale democratico. L’Italicum non va assolutamente in questa direzione ed è stato congeniato in modo volutamente poco lineare: doppio turno facoltativo, unico Paese al mondo a proporlo, quattro diversi tipi di sbarramenti (nazionale, di coalizione, salva-Lega e salva-Forza-sud), legge valida per la Camera e solo in maniera transitoria per il Senato, che andrebbe abolito. Nel frattempo, campa cavallo (quello di Caligola infatti è stato anche senatore).
- Questione di preferenze. Ovviamente il dibattito si è concentrato su altro: sulle “quote rosa” o “rappresentanza di genere”. Siccome l’Italicum è una legge maggioritaria e con liste bloccate, si è posto il problema di dover alternare uomini e donne nelle liste, visto che saranno eletti nell’ordine deciso dalle segreterie di partito. Sarebbe stato tutto molto più lineare se avessero votato una legge proporzionale con le preferenze, inserendo nelle liste sia donne che uomini: in questo modo se le donne vogliono votare le donne o gli uomini vogliono votare le donne o le donne vogliono votare gli uomini, non ci sarebbe nessun problema e ognuno avrebbe quel che vuole. Avrebbe, appunto.
- Il falso problema. Da più parti si dice che certo, sarebbe bello così, ma purtroppo le preferenze sono state abolite da un referendum per evitare i clientelismi, ed è per questo che non si possono reintrodurre. Falso, per tre ordini di motivi: a) col referendum furono abolite le preferenze multiple, non le preferenze, b) non è vero che non si possa reintrodurre qualcosa perché già abolito con un referendum (anche i finanziamenti ai partiti furono aboliti con un referendum e poi sono stati ripristinati); c) quando votiamo alle amministrative, lo facciamo con le preferenze: insomma, niente fuori dal comune.
- Fifty-fifty. Non avendo il coraggio di fare una legge seria, si è arrivati al grottesco, alla “parità di generi all’italiana”: imporre per legge che gli eletti rispecchino percentualmente la composizione dell’elettorato. Partendo dal presupposto che per me andrebbe bene anche un intero Parlamento al femminile, purchè competente, così come uno completamente maschile, purchè competente, così come uno misto, purchè competente, penso che imporre le “quote rosa” a valle del processo di selezione e non a monte, non sia una pratica “femminista”, ma sessista: pretendere che qualcuno sia scelto per il suo sesso, e non per le sue qualità meriterebbe una sollevazione popolare: se non ora, quando?
- Cascate degeneri. Si dovrebbe parlare di parità di opportunità e di accesso, non di livellamento al “traguardo”: bisogna consentire a tutti di andare all’università, mica a tutti di prendere 110 con lode. Diversamente, perché non fare la stessa cosa negli uffici? Metà dirigenti e impiegati donne, metà uomini. E perché no nel mondo della ricerca? Metà ricercatrici donne e metà uomini. A Sanremo? Un anno vince una donna e un anno un uomo. E poi: metà modelle e metà modelli sulle passerelle, metà chirurghi donne e metà uomini, e così via, per legge. Certo, in quest’ultimo caso interessa sopravvivere e guarire rapidamente, che sia donna o uomo ad operare poco importa. Ovvio in campo medico, meno in quello politico: evidentemente la competenza in quel settore non è un valore di riferimento.
- Autocritica. La grande assente: infilarsi magliette bianche o dire, da uomini, che si sostiene la “battaglia delle donne” è semplice, fare autocritica un po’ meno. Dimostrazione ne sono: i parlamentari maschi che prima hanno detto che avrebbero votato a favore della parità di genere e poi, nel segreto del voto, hanno bocciato l’emendamento; le parlamentari donne che non si chiedono cosa abbiano mai fatto di diverso dai parlamentari maschi: per ogni Razzi c’è una Santanchè, per ogni Scilipoti una Madia, per ogni Carfagna c’è una Boschi. Se non è parità questa, ditemi voi.
- De gustibus. Chi ha stabilito che il discrimine sia solo tra uomini e donne? E perché no tra bianchi e neri, credenti e non credenti, artisti e non artisti, scienziati e non, e poi tra cattolici, mussulmani, ebrei e via discorrendo? Se il Parlamento deve rispecchiare le percentuali della popolazione relative alle sue caratteristiche di “genere”, come sostiene la Boldrini, non se ne esce più. Al 100%.
- La fantasia al potere. Molta gente, diceva Munari, crede che i bambini abbiano una grande fantasia perché vede nei loro disegni o sente nei loro discorsi delle cose fuori dalla realtà. Non è così. Il bambino fa poche cose: mangia, piange, dorme, ride, va in bagno. Per lui, che ha una conoscenza limitata del mondo, ogni cosa ha le stesse qualità della sua vita, le stesse categorie interpretative: la palla grande è la mamma della palla piccola, quando piove è perchè il cielo piange, e via dicendo. Non è fantasia, ma proiezione del proprio mondo su ogni cosa. La domanda è: la fantasia e la scaltrezza dei nostri politici è davvero tale, o semplicemente rivela il loro mondo psicologico banale e privo di prospettiva?
- Il gallo di Napier. Va a capire chi è il responsabile di questa deriva italiana. Si dice che Napier, matematico, astronomo e fisico scozzese, per scoprire il responsabile tra i suoi servitori di un furto adoperato a suo danno, escogitò un metodo. Prese un gallo completamente nero, lo cosparse di fuliggine e lo chiuse in una stanza buia. Poi fece entrare i servitori uno alla volta nella stanza, dicendo che il gallo avrebbe cantato solo quando lo avesse toccato il ladro. Entrarono tutti e il gallo non cantò mai: infatti era afono. Poi si fece mostrare i palmi delle mani da tutti i servitori: solo uno le aveva bianche. Morale? Bisognerebbe individuare almeno una persona intelligente come Napier, maschio o femmina poco importa, e poi mandarla in Parlamento. Ecco, se avessi la possibilità la voterei senza dubbio.
@PArgoneto