Diversi secoli or sono fu rinvenuta una pietra sulla quale erano iscritte sei lettere, tre I e tre P. I più esperti glottologi ed archeologi si impegnarono ad interpretarne il significato, ma non ne vennero a capo.
Un vecchio abate, che viveva in un eremo, dedito agli studi ed alla preghiera, ritenne di aver trovato la soluzione. L’iscrizione avrebbe avuto, a suo dire, questo dettato: Imperante Imprudentia Iuvenum, Perit Potentia Patriae.
Certo, nessuno può dire che questa sia la giusta soluzione ermeneutica della singolare scritta; ma, di certo, essa costituisce un monito per quanti ritengono che la soluzione dei gravi problemi che affliggono uno Stato possa essere utilmente affidata ai giovani, per il solo fatto di essere tali. E ciò perché, se è indubitabile che il difficile compito di governare richieda entusiasmo e forza – doti proprie dell’età giovanile – è altrettanto vero che esso non può prescindere dal bagaglio di esperienza e di prudenza che l’uomo acquisisce nel tempo.
Non a caso la storia è piena di esempi che dimostrano la fallacia di iniziative prese sotto la spinta dell’entusiasmo e dell’ardore giovanile, ancorché presidiate da apprezzabili fini.
Pertanto, nella formazione di un Governo è necessario trovare un giusto equilibrio e dosare attentamente la scelta delle persone chiamate a dirigere i vari Dicasteri, in maniera tale da conseguire una felice sintesi tra il passato ed un presente proiettato nel futuro, un bilanciamento tra spinta innovativa e prudenza operativa, tra pura volontà e concretezza realizzatrice, tra spinta avventurosa e ragionevolezza inibitrice.
Tutto ciò non significa che i giovani non possano e non debbano accedere al governo di uno Stato.
Significa, però, che essi da soli e per il solo fatto di essere giovani, non offrono sicura garanzia di buon governo.
È, quindi, un grave errore contrapporre – come, sia pur incidentalmente, ha fatto il neo Presidente del Consiglio – attraverso marcate scelte generazionali, innovazione a conservazione, piuttosto che ricercare una linea di contemperamento di esigenze solo apparentemente contrarie, essendo funzionali al processo di integrazione sociale ed umana indispensabile per assicurare il buon funzionamento di un Governo.
Privilegiare, in via di principio, una delle due opzioni, significa mutilare un patrimonio culturale, espressivo di una saggezza consacrata dalla storia.