La fine della tregua e l’inizio dell’offensiva a larga scala da parte delle truppe governative aprono una nuova fase, la più pericolosa e ricca di incognite, nella crisi ucraina. Fallita per il momento la mediazione internazionale, con Kiev che ha fatto marcia indietro rispetto ai progetti comuni per la de-escalation discussi domenica e lunedì con Mosca, Berlino e Parigi, lo scenario è adesso quello della guerra civile evocato dallo stesso presidente ucraino.
Petro Poroshenko, nel suo messaggio televisivo agli ucraini, lanciato la notte scorsa per comunicare la cessazione del già debole armistizio e per annunciare la volontà di riportare sotto controllo con le armi il Donbass, non ha lasciato spazio infatti a troppe interpretazioni. Il capo dello Stato ha concluso il suo intervento appellandosi ai suoi compatrioti e invitandoli a rimanere uniti in questo delicato momento per il Paese. Ha affermato che la via per la riconciliazione è a volte più complessa di come la si desidera, ma che “dopo ogni guerra arriva anche la pace”.
È la prima volta che Poroshenko parla con tanta chiarezza, esprimendo la diretta volontà di “attaccare i terroristi e liberare il Paese”, ovvero di annientare i separatisti filorussi dell’Est. L’obbiettivo dichiarato è quello di “salvaguardare l’integrità territoriale” e richiede operazioni “non solo difensive, ma anche offensive”. Il presidente, capo delle forze armate, ha assicurato che l’esercito, la guardia nazionale e le altre unità che affiancano le truppe governative “non useranno la forza contro la popolazione pacifica e non attaccheranno mai i centri residenziali”. La strategia è quella di costringere gli insorti alla resa senza coinvolgere la popolazione civile.
La realtà è però che l’utilizzo di aviazione e artiglieria pesante per stanare i ribelli dalle loro roccaforti rischia di trascinare le regioni di Donetsk e Lugansk verso il baratro: già dopo la ripresa dell’offensiva a Slaviansk si sono registrate nuove vittime tra la popolazione quando un minibus è finito sotto tiro in circostanze ancora da chiarire. Il rischio è insomma quello che le operazioni chirurgiche si trasformino in una battaglia senza troppi riguardi per i “danni collaterali”.
Poroshenko però, che ha preso la decisione di avviare l’offensiva nonostante sia Mosca che le cancellerie occidentali spingessero per il prolungamento della tregua e l’implementazione del piano di pace con la mediazione dell’Osce, sembra avere messo in conto anche questo. La speranza è chiramente che la galassia separatista si dissolva di fronte al giro di vite militare.
Il sostegno al pugno di ferro l’hanno dato più volte gli Stati Uniti nelle settimane passate, sostenendo il diritto di Kiev di usare la forza per ristabilire l’ordine. L’incognita è come davvero possano rispondere i vari gruppi filorussi, sui quali la Russia continua a sottolineare di non avere un potere di influenza diretto.
Oltre due mesi dopo la proclamazione delle repubbliche indipendenti di Donetsk e Lugansk, il movimento separatista si è rafforzato dal punto di vista militare e anche se il sostegno tra la popolazione è alquanto limitato, le conseguenze dell’intervento governativo potrebbero dare nuova linfa e produrre l’effetto contrario a quello auspicato dal presidente, allargando il fossato tra centro e periferia…
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