Nuovo MondoTutto cambiato, tutto da rifare…Ma un’altra volta

Era già tutto previsto recitava una strofa di una vecchia canzone di Cocciante, un adagio che sta bene nel mondo immutabile del Calcio: tutto come previsto e tutto da rifare, ma sarà per la prossim...

Era già tutto previsto recitava una strofa di una vecchia canzone di Cocciante, un adagio che sta bene nel mondo immutabile del Calcio: tutto come previsto e tutto da rifare, ma sarà per la prossima volta, probabilmente fra 3-4 anni, in attesa di un nuovo ennesimo fallimento calcistico ed economico.

L’immutabilità ed il declino del mondo del Calcio italiano è proprio in questa disarmante prevedibilità dove un funzionario burocrate venuto dal nulla ma scelto dall’altro viene eletto nonostante la sua manifesta inferiorità culturale e d’immagine ben espressa dalle sue dichiarazioni e dove il designato commissario tecnico della nazionale con estremo tempismo lascia la guida della sua storica squadra un mese fa giusto in tempo per trovarsi libero ed accettare il nuovo incarico.  

Prima delle ferie agostane un mio collega mi aveva detto con estrema sicurezza che mai e poi mai sarebbe stato eletto un presidente della Federcalcio un uomo che assimila ancora il calciatore africano allo stereotipo della banana, discute banalmente di differenze sessiste nel Calcio e si paragona ad Oswald (che comunque non era proprio un tipo normale), tutti i luoghi comuni di cui solo un mondo destinato al dilettantismo può rassegnarsi.

Invece è stato proprio così. Il presidente doveva essere un fantoccio governato dai grandi club, proveniente da un mondo, quello dilettante appunto (di cui ha tanto vantato la trasformazione), che non comanda nulla e dove ci sono ancora squadre costrette a girare in autobus scortati per paura di agguati di invasati, specie nel Sud, dove ci sono ancora campi fatiscenti in ghiaia e terriccio e senza misure di sicurezza ed i giovani vengono esaltati come Maradona o censurati come handicappati.

L’allenatore doveva essere invece l’espressione del più grande club italiano, capace di ricreare l’illusione di un blocco di calciatori che si identifichino con una sola maglia, manco fosse il grande Torino, per il quale parlano i risultati (due scudetti vinti nella morìa generale, con calcio pessimo ma concreto ed efficace e due fallimenti europei) e la cui unica qualità, quella di cacciare tutti dallo spogliatoio è anche il suo difetto perché proprio lui è capace di distruggerlo con stupide polemiche.

Nel gattopardesco Calcio italiano doveva andare così: cambiare tutto per restare tutto uguale dai problemi seri, sicurezza, ultras che schiavizzano dirigenti che schiavizzano la Federazione, stadi e società al collasso, credibilità internazionale a zero, ai problemi tecnici che il nuovo allenatore non risolverà, pur con la carta bianca di decurtisiana memoria, ma in assenza di un progetto, di un’idea di vivaio, di integrazione razziale (altro che banane!) e di società non governate da nuovi ricconi o tycoon esteri.

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