Non aprite quelle porteCaro Simone Rugiati, ovvero apologia del brodo di dado

Alla fine è successo.Simone Rugiati, storico conduttore di Cuochi & Fiamme e (ormai non più) nuova promessa della cucina italiana (semi-cit.), è stato costretto a cedere: dopo anni passati a predic...

Alla fine è successo.
Simone Rugiati, storico conduttore di Cuochi & Fiamme e (ormai non più) nuova promessa della cucina italiana (semi-cit.), è stato costretto a cedere: dopo anni passati a predicare che no, non bisogna usare il dado per fare il brodo, ma solo le verdurine fresche o, in caso si abbia tempo da buttare, la gallina che scorrazza felice (ancora per poco) nell’aia beccando mangime, si è ritrovato a dover promuovere in trasmissione il brodo di dado, per di più in brick. Come se, all’improvviso, il signor Lafite Rothschild – inteso come entità – dicesse ai visitatori delle cantine: «Ma che ci frega di questo Château Sailcavolo, sbronziamoci di Tavernello».
Ogni volta che Simone Rugiati deve articolare brodo di dado, sembra che muoia un po’, moderno Fonzie alle prese con le parole ho sbagliato: il brodo di dado è uno smacco, un parallelepipedo di vergogna, un memento mori culinario che ci ricorda che tutti, prima o poi, dobbiamo a scendere a compromessi.

E io, questo Simone Rugiati sceso a compromessi, vorrei confortarlo un po’. Perciò ecco qua.

Caro Simone,
ho appreso con molto rammarico la notizia dell’introduzione del brodo in brick in Cuochi & Fiamme. Rammarico non per me, che ho fatto del dado uno stile di vita, ma per te, da sempre avverso al malefico cubetto.
Tu dicevi: «Piuttosto del dado, usate solo l’acqua». Me lo ricordo bene.
Ma voglio rassicurarti, il dado non è un emissario di Satana e non si sveglierà nottetempo per raggiungere casa tua brandendo un mestolo per colpirti nel sonno. Io ci convivo da 38 anni e sono ancora qui a raccontarlo.
Il dado, quel povero piccolo tenero agglomerato di roba imprecisata, è una cosetta a modo: tu lo metti nella dispensa e lui sta lì, aspettando il giorno in cui si scioglierà per te. Sa stare al suo posto, non richiede troppe attenzioni, non si fa problemi a venire accantonato per mesi.
Le verdure sono più capricciose, più eroine dell’Ottocento. Hanno bisogno di cure e di amore. Se ci si dimentica di loro, marciscono, facendoti sentire una cattiva persona.
E della gallina vogliamo parlare? Di tutto quel grasso che galleggia in pentola? Non voglio nemmeno pensarci.
Il dado è un amico fidato. Quando ti prende la voglia di risotto radicchio e gorgonzola, lui è lì, mentre le capricciose verdure non lo sono sempre.
Lo so, voi – tu e il brodo di dado, intendo – vi conoscete da poco e non avete ancora superato la fase in cui vorreste solo prendervi a testate, ma col tempo imparerete ad apprezzarvi.
E poi – cosa da non sottovalutare – il dado ti fa sentire a casa. Pensa a una gita a Venezia, pensa a quando ti rimetti in auto per tornare a Milano e, stanco, ti ritrovi in coda sulla A4; non è meraviglioso il momento in cui, passando da Agrate, l’odore di brodo ti invade le narici e capisci così di essere quasi arrivato? Simone dado casa.
Sii forte, ce la farai.
Tua,
Serena
 

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