Il nostro vicino orientale è stato vicinissimo, nel 2013, a fare ricorso al Meccanismo europeo di stabilità finanziaria per i debiti del settore bancario. Ma le riforme strutturali non sono mai state affrontate seriamente.
di Rodolfo Toè
La crisi in Slovenia vista dal quotidiano ‘Delo’ di Ljubljana
(L’articolo è stato pubblicato in precedenza su Rassegna Est*) Dopo aver sventato il rischio bailout, la Slovenia sembra essere sulla buona strada per la ripresa. In effetti, è quello che sottolineano i dati pubblicati da una recente analisi di Unicredit, che stima la crescita del PIL a Ljubljana del +2,5% nel 2014 e del +1,8% nel 2015. La banca italiana è forse tra le istituzioni più ottimiste, riguardo alle proiezioni per il paese, ma la tendenza alla ripresa è confermata anche da altre organizzazioni (il Fondo monetario internazionale prevede una crescita del1,75%; la Commissione europea dell’1,7% e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo dell’1,6%).
Ma quanto sta bene la Slovenia? Al di là della ritrovata solidità del proprio settore finanziario (che ha portato anche a giudizi positivi da parte delle agenzie di rating internazionali, per esempio Moody’s lo scorso 24 gennaio) il paese non sembra avere compiuto molti progressi.
La ripresa produttiva è essenzialmente basata su un incremento delle esportazioni verso l’UE e pare essere determinata soprattutto da un trend regionale, piuttosto che da meriti effettivi della leadership slovena. Il piano sulle privatizzazioni è sempre fermo, vero tabù della politica slovena nel corso degli ultimi due anni, ed è tuttora in sede di discussione al parlamento. “Continueremo a privatizzare le 15 imprese promesse”, ha sostenuto lunedì scorso il premier Miro Cerar (per ora ne sono state vendute tre).
Questo nonostante la pressione dei partiti della sinistra (socialdemocratici e sinistra unita) che remano contro il provvedimento (e questo nonostante i socialdemocratici fossero stati tra i principali sostenitori della misura, nella passata legislatura). A metà gennaio, è stato addirittura deciso di lanciare una petizione pubblica a sostegno del processo, visto come un passo necessario per migliorare il settore produttivo sloveno e ridurre la pressione del debito pubblico.
Debito pubblico che, al momento, cresce a ritmi vertiginosi: rappresentava il 47,1% del PIL nel 2012, a fine 2014 aveva raggiunto il 71,7% – e, a fine 2015, schizzerà all’83% del PIL, secondo quanto dichiarato dal Ministro delle finanze Dušan Mramor a metà gennaio. Segno che – come già si diceva all’indomani delle elezioni della scorsa estate – a fronte della passività istituzionale Ljubljana sta facendo fronte alle difficoltà economiche soprattutto con un maggiore indebitamento.
Quasi due anni dopo la crisi finanziaria del 2013, la piccola repubblica ex jugoslava sembra essersi salvata essenzialmente grazie alla propria piccola dimensione – che ha permesso al governo di evitare il bailout con sforzi tutto sommato contenuti, e che ora ha rilanciato un’economia trainata dall’export verso il resto dell’UE. Si tratta, però, di una boccata d’ossigeno concessa a un sistema che andrebbe riformato più in profondità. Già al recente G20 di Istanbul è stato presentato un report dell’OECD che indica a Ljubljana le priorità da seguire: concludere le privatizzazioni, riformare il sistema pensionistico e limitare la crescita del salario minimo legale.
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* Rassegna Est è un sito che racconta e spiega l’Europa balcanica, centrale e post-sovietica con una particolare attenzione alle vicende economiche. È sia un’agenzia di giornalisti che forniscono i loro contributi a varie testate, sia un portale di servizio indirizzato alle imprese italiane, la cui presenza a Est è molto radicata (www.rassegnaest.com).