C’è un tizio, di fianco a me, ora, sul treno. Sta ascoltando della musica dalle cuffie quando il controllore gli batte la spalla: «Biglietto, prego». L’uomo sbuffa. Lo cerca, o fa finta di cercarlo, nelle tasche dei pantaloni. Poi guarda il controllore, come per dirgli di chiudere un occhio. Il controllore gli intima di scendere dal treno. L’uomo lo guarda minaccioso. Poi si alza, docile, e si avvia verso la porta del treno.
Forse ieri non me lo sarei chiesto, ma oggi sì. E se quell’uomo avesse avuto una pistola? Se in un impeto di rabbia avesse ammazzato il controllore, e magari me e tutti quelli che sono in quel momento con me sul vagone? Non c’è alcun metal detector, nelle stazioni. I controllori sono pubblici ufficiali disarmati. Nel tragitto di quaranta minuti che separa le stazioni di Lodi e Milano Rogoredo, le uniche due stazioni con una centrale della Polizia Ferroviaria, c’è una «falla nella sicurezza».
Ammettiamo succeda. Matteo Salvini, segretario della Lega Nord, probabilmente direbbe che «i terroristi islamici si staranno fregando le mani vedendo come è facile seminare il panico con le armi, sui treni per Milano». Gennaro Migliore del Partito Democratico, gli risponderebbe osservando che «chi è a favore della libera circolazione delle armi (come il segretario della Lega Nord, ndr) oggi non dovrebbe parlare, ma riflettere».
Qualche autorevole ex-controllore direbbe, pur tra mille distinguo, che la follia omicida sarebbe da attribuire a un «brutto clima», ostile ai ferrovieri. Sui giornali del giorno dopo, ognuno reciterebbe la sua parte in commedia: Libero attaccherebbe i controllori, il Giornale il governo, il Fatto Quotidiano titolerebbe «Oggi i treni, domani Expo». E su Facebook nascerebbero gruppi a sostegno del mio potenziale assassino, vittima dello Stato-ladro ed esattore.
Strage sul treno a parte, non sto inventando nulla. Tutte le reazioni che avete letto, da Salvini al Fatto, le abbiamo effettivamente ascoltate e lette nelle ore successive alla sparatoria del Tribunale di Milano, in cui un pazzo, Claudio Giardiello, ha ammazzato un giudice, il suo avvocato e un suo ex socio, coimputato assieme a lui in un processo per bancarotta fraudolenta.
Dovremmo esserci abituati alle sovra-interpretazioni, alle strumentalizzazioni, alla capacità tutta italiana – perché, davvero, provate a leggere i giornali stranieri dopo tragedie simili: non tutto il mondo è paese, non sempre – di usare le tragedie pro domo propria.
Dovremmo saperlo, ma stavolta forse è il caso di ribadirlo: la rilevanza sociologica e statistica di quel che è successo ieri al Tribunale di Milano è zero. Non ci sono precedenti recenti, né escalation di violenza, visto che l’ultima volta in cui sono stati sparati colpi d’arma da fuoco a palazzo di giustizia è stato ventotto anni fa, il 6 ottobre del 1987.
Dire che a causare la tragedia sia stata una falla nella sicurezza in ingresso – per quanto quella falla ci fosse e sia giusto porvi rimedio – è sbagliato, quindi. Così com’era sbagliato dire che la causa dello schianto dell’airbus di Germanwings sulle alpi provenzali fosse colpa delle regole post 11 settembre o della Lufthansa, sebbene quelle regole vi fossero.
Che sia un treno, un tribunale, un aereo o la redazione di un giornale, ci troviamo di fronte a eventi che non hanno altra spiegazione se non la follia individuale. A persone che, in un modo o nell’altro, avrebbero comunque provato a portare a termine il loro piano, frutto di una lunga e malata premeditazione. Io oggi non ho paura a prendere l’aereo, o di recarmi in tribunale, né del mio vicino di posto sul treno che prendo tutte le mattine, che abbia o non abbia il biglietto.
Io ho paura del rumore bianco di sottofondo, del chiacchiericcio mediatico e politico, dell’incapacità di razionalizzare un’eventualità del tutto irrazionale. Se uno psicopatico è in grado di generare una psicosi collettiva, se un evento isolato basta a mettere in dubbio la sicurezza dell’esposizione universale e si riverbera in un dibattito che abbraccia l’Isis e il possesso di armi, gli imprenditori che falliscono che diventano potenziali assassini e i giudici delegittimati che diventano potenziali bersagli, c’è qualcosa che non torna. Io ho paura di vivere in un paese che ha paura. Perché è chi ha paura, di solito, che combina cazzate.