Milano ripulisce Milano. Senza piagnistei, con dignità. E se sui social network come sulle televisioni va in onda la fiera delle banalità e della retorica di giornaliti e politici, i milanesi vanno avanti a testa bassa senza perdersi d’animo ma soprattutto senza perdere tempo in chiacchiere fin troppo scontate, soprattutto della politica, le solite, banali e stantie che caratterizzano un’Italia depressa con lo sguardo rivolto sempre al passato, da Tangentopoli al G8 di Genova, arrivando fino a Marx o al fascismo di Benito Mussolini.
E’ una lagna insopportabile. C’è chi porta acqua al mulino di un Expo 2015 che ha appena aperto i battenti, accusando giornalisti e critici di aver soffiato sulla protesta, ma dimenticando che si potrà dire che la manifestazione universale sarà un successo solo alla fine di ottobre, anzi molto più avanti. Allo stesso tempo c’è chi tace tra i NoExpo, in un’inspiegabile circuito di connivenza dove in pochi alzano la voce per condannare le violenze di cinquecento incappucciati di nero che hanno messo a ferro e fuoco le vie del centro.
Caso ha voluto che l’inizio degli scontri sia avvenuto di fronte al Bar Magenta, un locale storico per i milanesi, di ogni estrazione sociale, un punto di ritrovo della borghesia fighetta dei licei del centro, ma pure un porto d’approdo obbligato per chi arriva da fuori, dagli ultras di Milan e Inter fino ai tamarri di periferia. Il Magenta ieri è rimasto aperto durante la manifestazione. Dentro i baristi scherzavano sul passaggio del corteo. La sassaiola contro la polizia è incominciata lì. Hanno solo chiuso la porta per mezz’ora. Il locale è rimasto intatto. Poi ha riaperto i battenti, ricominciando a vendere birre e panini come ha sempre fatto, senza troppi piagnistei.
Milano è questa, una città pratica, caparbia, orgogliosa che non si ferma. E’ una città che si aiuta, rappresentata alla perfezione da quel cameriere di un bar di fianco al Magenta che ha aperto il portone di una casa per mettere al riparo i manifestanti dagli scontri e dai lacrimogeni. C’era anche lui a Genova nel 2001. Ha raccontato con orgoglio di essere della Barona, una zona periferica di Milano, e che alcuni suoi amici erano tra i manifestanti. Voleva vedere cosa stava succedendo, diviso tra quella rabbia di chi campa con mille euro al mese e chi non vuole vedere il locale dove lavora distrutto.
Non è stata una bella giornata per Milano. Le macchine incendiate, la paura degli abitanti, non sono una cartolina da sfoggiare all’estero né tra gli amici la sera all’aperitivo. Ma la città ha dimostrato di essere ancora una volta più forte di qualsiasi cosa, di avere anticorpi molto spessi, una città che ha il coraggio di lasciare spazio alle critiche di chi non si fida ancora di un esposizione universale costellata da scandali e corruzione, una città che prova a diventare grande, a mettersi in gioco provando a diventare come Berlino o Barcellona.
Ci sono tante immagini della giornata del primo maggio molto più interessanti di quelle dei giovani incappucciati che lanciano sassi alla polizia. Sono quelle degli operai che si sono spaccati la schiena per completare i padiglioni dell’esposizione universale, vittime delle inefficenze di un’organizzazione raffazzonata e litigiosa. Sono quelle dei ragazzi che durante la manifestazione hanno manifestato pacificamente, ballando, scherzando e criticando il governo sulle questioni del lavoro e ponendosi la domanda se questo Expo darà loro un futuro o meno. Sono quelle di chi si è subito rimboccato le maniche per ripulire le strade imbrattate e devastate dalla violenza di pochi. Ecco meglio parlare di questo, oggi.