Ma siete sicuri che i cavalli neri possano entrare in Paradiso? Insomma, lassù è tutto talmente così in tono con le nuvole che si fa fatica ad immaginare San Pietro sorridere e dare il benvenuto. A...
Ma siete sicuri che i cavalli neri possano entrare in Paradiso? Insomma, lassù è tutto talmente così in tono con le nuvole che si fa fatica ad immaginare San Pietro sorridere e dare il benvenuto. Ancor più difficile che apra il cancello, se i cavalli in questione -oltre ad essere neri- trainassero la salma di Vittorio Casamonica, uno dei maggiori esponenti del clan romano dell’omonima famiglia, dagli anni ’70 ad oggi coinvolto nelle pagine più tristi della criminalità organizzata capitolina.
Eppure San Pietro qualcosa avrà dovuto dire ieri, quando il boss -a bordo della sua carrozza nera, dopo avere dato l’addio ad amici e parenti- gli si è presentato davanti.
Probabilmente in quel momento era occupato al telefono con qualche membro della curia romana che dopo aver messo le mani avanti, sottolineando che “nessuno si era accorto dei fasti di quel funerale”, provava ad avvisarlo dell’arrivo imminente del “Re di Roma” (titolo conferitogli da uno striscione fuori la chiesa ‘Don Bosco’, la stessa chiesa dove -qualche anno fa- a Piergiorgio Welby, fu negato il funerale).
La telefonata però si dev’essere subito interrotta. Con i potenti mezzi del boss, fare Roma- Paradiso “è ‘na volata” e la carrozza nera sarà arrivata nel giro di poco. E allora San Pietro, con la sua calma serafica ma col cuore in gola per via della paura che un boss può suscitare, avrà abbassato la cornetta, si sarà voltato, avrà preso dalla bacheca delle chiavi il mazzo giusto e si sarà avvicinato al visitatore con tanti dubbi e una sola certezza in tasca: “Al massimo se va per le brutte gli faccio preparare un caffè da Brignano, ché pure lui è di Roma, magari ci saprà parlare meglio di me”.
Ma quello, Brignano, fa vai e vieni tra uno spot e uno spettacolo a teatro e -conoscendolo- a Casamonica non glielo avrebbe mai fatto un caffè. Sicché San Pietro avrà dovuto vedersela da solo e non dev’essere stato facile con uno che porta un cognome così pesante.
Uno che se n’è andato dal suo mondo sulle note del padrino suonate da una banda musicale con l’elicottero e la Rolls Royce, uno per cui tanta gente fa ancora il tifo: “Hai conquistato Roma, adesso conquista il Paradiso”- gli raccomandano. E chissà che Vittorio non si sia messo in testa adesso di conquistarlo davvero il Paradiso!
Non ci è dato saperlo, per fortuna. Ma sappiamo che qualcosa di meno celeste -almeno sulla terra in cui viviamo tutti noi, in questa Italia maledetta- l’ha conquistata davvero.
Ha conquistato posto in chiesa, nonostante tutte le sue malefatte contro la legge, ha fatto sì che chi di dovere chiudesse più di un occhio sull’ostentazione del potere mafioso in occasione della sua dipartita ed ha permesso indirettamente che un posto sacro diventasse teatro di una delle peggiori macchiette di film come il Padrino. Ha ottenuto che chi non crede in Dio per via di una Chiesa che non dà la comunione ai divorziati ma che permette ad un criminale di essere celebrato, si senta adesso ancora più smarrito. Ha ottenuto che vincesse la Chiesa del male, quella dei preti pedofili, quella delle crociate, quella dell’inquisizione, quella del dogma sempre e comunque anche contro ogni senso della logica umana.
E se ne è andato così, Vittorio Casamonica, da vincitore, come il marchese del Grillo, che beffardo ha marcato la linea tra la sua persona e il resto della plebe.
Non sappiamo cosa sia successo quando San Pietro -dopo aver riposto la cornetta- si è avviato all’ingresso del Paradiso per capire cosa volesse. E’ bello immaginare però che dopo avergli offerto un buon caffè qualità rossa gli abbia detto: “Caro Vittorio, permettimi di chiamarti per nome, perché il tuo cognome qui non conta più niente. Te ne sei andato da eroe, hai sbeffeggiato tutti e l’hai fatta franca. Sei stato bravo, molto bravo, diciamoci la verità. E noi in Paradiso le persone in gamba le prendiamo tutte. Credimi! Ma mi dispiace, non posso farti entrare. Qui ci ho messo un’eternità a mantenere questo candore. E adesso pure se i tuoi sei cavalli tornassero giù, se rimanessi qui da solo e togliessi il tuo abito nero, rimarrebbe comunque troppa oscurità. Quello dell’anima è un nero che non si cancella. Fammi un favore, prendi l’ascensore e vai al meno uno. Io ora torno dov’ero. Ah! …Vittorio, come dite voi a Roma? Ciaone!”.