Stamattina ho letto sul Corriere Online che Scientology sta aprendo la nuova sede Italiana presso quello che una volta, per noi informatici, era un tempio sacro dell’IT: l’edificio del Centro Direzionale nel quale ebbero sede prima Philips, poi Sun Microsystem.
Ho lavorato a cavallo tra il 1999 e il 2000 come sistemista Sun, andai a fare diversi corsi in quella sede, e per chi lavorava nel mondo Unix era come entrare in un tempio. Sono stato abbastanza triste nel sapere che quel tempio farà questa fine.
Ma sono opinoni, certo, perché uno scientologista chiamerà questo come suo “tempio” e non capirà questa mia tristezza profana.
Come sempre, però, ogni tristezza cerco di ricondurla a un ricordo divertente, e ne ho uno proprio legato al pregiato franchise para-religioso di matrice iuesséi.
Correva l’anno 2002, io ero un giovane imprenditore, mi ero appena licenziato da un posto fisso in una banca per inseguire molte illusioni ma anche qualche progetto. Avevo aperto un piccolo negozio di informatica, con forse il primo Internet point della mia città, ero più in forma di quanto credessi ai tempi, comparato a quello che mi ha fatto diventare questo lavoro oggi, e soprattutto avevo ancora fame di conoscenza, soprattutto per quanto riguarda le persone.
Un giorno si presenta in negozio un signore grassoccio, dai capelli un po’ unti e dal riporto abbastanza evidente, e mi chiede con fare da venditore se fossimo interessati a proporre un gestionale aziendale ai nostri clienti.
I modi fin troppo gentili e remissivi, aveva addosso un cappotto di lana di quelli che appaiono un po’ masticati, perché a casa non hai nessuno che pensi all’ammorbidente, un gilet di cotone su una camicia senza cravatta, le gambe a “X” dei cicciottelli di lungo corso.
La prima cosa che penso: è un pedofilo. Ai tempi ero un ottimista.
Gli dico: va bene, vediamo questo applicativo, se ci piace possiamo parlarne.
Tira fuori da una valigetta da lavoro un portatile un po’ datato anche per i tempi, lo accende e appena si carica Windows Millennium (!), lancia un programma che alla prima occhiata mi sembrava fosse stato scritto in Delphi.
Clicca su qualche icona, apre qualche scheda, sembra un gestionale fatturazione/magazzino ma senza capo né coda. Non parla molto, si limita a cliccare, sorridere e guardarmi per vedere la mia reazione.
Porta il mouse lentamente su un’icona, la doppioclicca con cura, con gentilezza, si apre la scheda e mi guarda sorridendo.
Come se stesse facendo vedere un gioco di magia a un bambino.
Penso: è definitivamente un pederasta. Forse anche un serial killer.
Ma io sono grande e grosso, quindi gli do corda. Gli chiedo: “E’ scritto in Delphi?”.
La domanda lo prende alla sprovvista, il sorriso si spegne un po’, mi dice che lui è solo un venditore, che cerca dei partner commerciali e che se ho domande più tecniche, sarei potuto andare in sede con lui, magari a parlare col suo capo.
E dove è la vostra sede?
A Milano, dice.
Mi consegna il biglietto da visita, con un nome scritto sopra e mi chiede se possiamo sentirci in serata, per metterci d’accordo e organizzare una visita “in sede”.
Penso: massì, ci vado. Ho alle spalle una carriera da ex lanciatore di disco e giavellotto e un paio di anni di boxe, se mi crea problemi gli auguro solo di avere del cloroformio e di essere molto molto veloce. Se dovesse riuscire a sopraffarmi, allora si merita tutto il divertimento che può prendersi.
Voi penserete: ma sei andato su Google a vedere se la società esisteva? Ragazzi, non so se vi ricordate il 2002: Google non era ancora il dio che risolveva tutto. Potevi benissimo esistere anche senza essere su Google e Facebook e Linkedin erano molto di là da venire.
E poi, come detto, sono grosso e se mi incazzo posso contare su una certa inerzia, quindi se non prendo dei rischi io, chi deve farlo?
E’ per la scienza sociale, bitch.
Per farla breve, ci mettiamo d’accordo per un Venerdì mattina e passa a prednermi in auto. Ha su lo stesso cappotto, ma il gilet è diverso. Il riporto è dall’altra parte, incredibilmente. Penso: bene, per lo meno non ha un furgoncino da serial killer, se deve sbarazzarsi del mio cadavere deve fare una certa fatica.
Chiedo: dove è la sede?
Vicino a Piazzale Maciachini, mi risponde.
Ottimo, penso, per lo meno non è un posto isolato. Certo, potrebbe sempre cambiare strada all’ultimo momento, ma ho in mente almeno tre o quattro reazioni scomposte urlando (scuola Shaolin serale) che potrebbero farci schiantare contro un pilone della tangenziale, poi da lì in poi chi sopravvive è bravo.
Durante il viaggio cerco di fare qualche domanda sul software e sulla sua azienda, ma è abbastanza evasivo.
Con mia enorme sorpresa e una punta di delusione, fa la strada più scontata e banale e arriva effettivamente nei pressi di piazzale Maciachini, fino a fermarsi qui davanti.
Sto per esclamare: guarda, qui c’è la sede di quella cosa per cui vanno pazzi quegli scemi di americani, ma vedo che con il sorriso da prestigiatore pasticcione si dirige verso l’entrata.
A quel punto capisco e penso: ok, allora stiamo davvero al gioco. D’altra parte non ne sapevo molto di Scientology. Sapevo che c’erano delle polemiche in alcuni Paesi, che la Germania li considerava una setta pericolosa e che non potevi lavorare nello showbiz, a Hollywood, se non avevi almeno una tessera punti o qualsiasi cosa ti possa dare una organizzazione con quel nome. Nel mio immaginario era come un Book Club o una versione senza foto di modelle in lingerie di Postalmarket.
Però già arrivare lì davanti e leggere “CHIESA di Scientology”, mi fece fare la somma ad una serie di elementi, compreso l’atteggiamento mellifluo e condiscendente del mio accompagnatore. L’unica cosa che mi chiedevo era: ma questo fa veramente questa cosa? Cioè, va in giro ad adescare informatici per portarli nella sua chiesa?
Decido di non chiedere altro ed entro.
Appena entro, vedo un espositore con dei libri, e il nome dell’autore mi risulta familiare: Ron Hubbard.
Dove l’ho già sentito?
Mentre entriamo e saluta delle persone sorridenti, alle quali mi presenta, mi dice che quella non è la sede della sua società, ma che spesso con i suoi colleghi e il suo capo, che l’ha portato in Scientology, si incontrano lì.
Sai, dice, qui ci sono intere famiglie che passano il tempo, ci sono anche delle sale dove giocare, dove rilassarsi, c’è una grossa mensa dove se vogliamo possiamo mangiare tutti insieme, ma ora ti lascio a lei.
“Lei” era una tizia della quale non ricordo il nome. Mi porta in una stanza e mi dice: senti, ti vorremo fare un piccolo questionario, eccolo. E’ a crocette, è semplice.
Meno male, rispondo.
Mi dice: non appena hai finito lo facciamo vedere a uno dei nostri “auditor” (o qualcosa del genere), che poi verrà a parlare con te.
Avevo già fatto in un paio di occasioni quei test attitudinali: a un colloquio per una grossa azienda, anni prima, e al servizio di leva. Decido di rispondere in palese contrasto con quelle che sarebbero state le mie risposte reali, anche perché sapevo che qualsiasi cosa avessi risposto, il risultato sarebbe stato solo uno: io avrei avuto BISOGNO di Scientology.
Effettivamente successe esattamente quello, solo che me lo dissero tramite un “auditor”, che si presenta nella stanza con i risultati del mio test. Neanche di questa “lei” ricordo il nome, ricordo solo che aveva delle tette impressionanti. Ma non “belle”, erano proprio spropositate, felliniane.
Penso: evidentemente tra le risposte che ho dato, alcune danno di me un profilo che ha suggerito loro di farmi interloquire con questo essere mitologico metà essere umano metà tette enormissime.
Soffoco una risata perché subito parte un sottopensiero: e la risposta che ha prodotto questa scelta è “Sesso: maschio”.
Cerco di restare serio mentre la tizia si siede e le abominevoli puppe franano sul piccolo banco che mi divide da lei e che rappresenta attualmente la mia unica ancora di salvezza. Mi mostra un grafico e dice, con fare matetterno: vedi? questo grafico sei tu.
Dico: wow, pensavo di essere più magro.
Sorride severa: davvero, vedi questo picco?
Dico di sì con la testa.
Dice: questo picco dice che sei stressato e che spesso ti senti triste e depresso.
Sgrano gli occhi come un cucciolo di stronzo e rispondo: MA COME FA A SAPERLO?
Si appoggia sulle sue stesse tette e con fare professioniale mi dice che loro in Scientology si occupano proprio di questo, di risolvere i problemi di stress, tristezza e depressione. A riprova di quanto dice, mi indica qualcosa alle mie spalle. Mi giro e vedo un poster che rappresenta un giocatore di football americano che si tiene il casco come se avesse mal di testa e come se anche il casco avesse mal di casco. Nella parte superiore del poster una grossa scritta: TI SENTI STRESSATO, TRISTE E DEPRESSO? e nella parte sotto: NOI POSSIAMO AIUTARTI.
Mi giro di nuovo e dico: WOW!
Annuisce soddisfatta e mi fa cenno di seguirla, e si alza in un modo abbastanza scomposto, come se fossero quelle bocce mostruose ad alzare il resto del corpo e non il contrario.
Usciamo e chi ti rivedo? Il mio accompagnatore.
Che sta passando il mocio per terra.
Mi sorride viscidotto e dice: qui diamo tutti una mano.
Sorrido e comincio a pensare di essere in un film di fantascienza, di quelli “Ai confini della Realtà”, e questo pensiero mi fa illuminare qualcosa nel cervello: Ron Hubbard! I libri che ho visto all’ingresso, sono di Ron Hubbard! Uno scrittore di fantascienza tra il mediocre e il commerciale, qualche racconto carino, ma sostanzialmente diverse spanne sotto i suoi contemporanei. Uno di quegli scrittori del periodo d’oro della fantascienza da rivista della prima metà del ‘900.
Mi chiedo perché mettano in bella mostra, in una “chiesa”, dei libri di uno scrittore di genere come tanti, senza grossi pregi né difetti. Voglio dire, penso, se dovessi fare (anzi, “quando farò”) una religione basata sulla fantascienza (come tutte, in fondo), i testi fondamentali sarebbero Asimov, Bradbury e Matheson.
Mentre fantastico su una liturgia basata sulla robotica, mi portano in uno stanzino che è una piccola sala di proiezione. Mi fanno sedere e mi dicono: ora ti facciamo vedere un filmino che spiega cos’è Scientology.
Dico: bello, mi piace il cinema! Mi sento l’Alex del finale di Arancia Meccanica, per quanto sono fintamente euforico e docile.
Sorridono, mi lasciano solo nella stanza, oramai sento che sono completamente oltre l’incoscienza, si spengono le luci e parte questo filmato delirante, che dipinge Scientology come un luogo dove si aiutano le persone, tramite, attenzione, l’elevazione del quoziente intellettivo. La grande intuizione del sacro creatore di Scientology, dice un attore che si presenta come un sacerdote di New York della Chiesa di Scientology, ma che io riconosco come un attore che ho visto spesso nei Robinson come comparsa, è questa: tutti i mali dell’uomo derivano dal fatto che il quoziente intellettivo vada elevato. Pensiero un po’ distorto, perché se è vero che se fossimo tutti Einstein forse staremmo meglio (ma non è neanche detto, visto che anche lui era incasinato mica male), è anche vero che Ted Bundy aveva il doppio del QI dei procuratori che lo accusavano.
Ma lascio correre: per quel giorno mi sentivo come se fossi un antropologo spaziale. Se mi avessero dato da mangiare dei vermi robotici, li avrei mangiati. Se mi avessero porto il calumet laser della pace, l’avrei fumato.
Finisce il filmato e rientrano nella stanza.
Mi portano quindi a fare un giro per i vari piani. Sulle scale c’è a un certo punto un poster di una enorme nave da crociera. Il mio mentore dice: questa è la nave dove puoi andare a vivere quando raggiungi il massimo livello. Passa un tizio con un mazzo di fiori. Il cicciottello viscido gli chiede per chi siano. Quello risponde: sono per [tizio], è appena passato a OT 3!
Il ciccioviscido spalanca la bocca, oooohhhhh.
Io vorrei dire: io finisco Bubble Bubble senza perdere vite, in doppio con mia mamma. Ma sto zitto.
Passiamo davanti a un ufficio la cui parete è un enorme vetro, non ci sono porte. Un ufficio con una scrivania bellissima, una poltrona sontuosa e un mappamondo di legno e ottone. Ciccioviscido dice: questo è l’ufficio di Ron, in ogni sede ce n’è uno.
Ron? Ron Hubbard?
Sì, mi risponde, è il fondatore di Scientology.
Ah, chiedo, e lui ogni tanto viene qui?
Vedo che fa un sorriso imbarazzato, poi dico: oh, scusa… forse Ron Hubbard è morto, vero?
Dice: noi non diciamo così. Diciamo che Ron ha raggiunto un livello che può raggiungere solo lui.
Ah, dico, giusto. Poi realizzo davvero: Ron Hubbard non è UNO degli autori fondamentali di questo ambaradan, è L’AUTORE, è il messia, è il profeta e l’apostolo.
Ron Hubbard.
Da quel momento, comincio ad essere stanco di questa avventura nell’assurdo. Cerco di accelerare le cose, ma mi frenano, mi portano anche nella mensa/bar, dove si vendono prodotti e integratori certificati da Scientology. Sui tavoloni siedono effettivamente persone di tutte le età, vedo anche alcuni bambini che studiano su dei libri di scuola.
Dico che devo andare, che è tardi.
Ciccioviscido mi chiede se voglio essere riportato a casa, ma gli dico che no, visto che venivo a Milano, mi ero organizzato per vedere un amico a cena, mentendo. Voglio solo andarmene via il prima possibile da quel posto.
Alla reception del piano terra mi chiedono se voglio lasciare dei dati personali e comprare un paio di libri. Certo, che voglio, ci mancherebbe: compro i libri e compilo una scheda con i dati di un cliente che mi doveva ancora saldare una fattura dell’anno prima ed esco all’aria aperta, finalmente.
Da ateo di vecchia data appassionato amatoriale di antropologia, mi sono sempre chiesto quale sia il “quid” che rende predisposti a credere, ad avere fede in qualcosa di superiore e di definito, ma se posso cercare di capire chi crede in un Dio onnipotente e invisibile, non riesco a concepire una religione basata non tanto sulla fantascienza, ma sugli stilemi della fantascienza e con l’obiettivo finale di andare a vivere su Love Boat.
Mi sarei poi informato più compiutamente su Scientology, sui suoi lati oscuri e sulle polemiche che la circondano in tutto il mondo.
Ma, in fondo, ognuno fa le sue scelte e per me non è niente altro che una delle tante chiese alle quali non aderirò mai, in attesa della creazione di quella che ho in mente io.
Sia lodato Hari Seldon, ora e in tutti i futuri psicostoriograficamente probabili.