C’è una catena di fast food americana che sta registrando numeri in rapida e costante ascesa, seconda a nessuno nel mercato. Non si tratta di McDonald’s, colosso degli hamburger che, dopo un periodo di notevole difficoltà, sta lentamente risalendo la china. E non sono neppure gli eterni rivali di Burger King, né tanto meno i concorrenti del gruppo YUM! Brands quali Pizza Hut, KFC o Taco Bell, ben conosciuti anche al di qua dell’Atlantico. Il franchise che va alle stelle negli USA, sebbene alquanto famoso in madre patria, è poco o per nulla noto sul territorio italiano, e risponde al nome di Arby’s.
Venti trimestri in positivo, una crescita continua nelle vendite che non trova interruzione da cinque anni. Nel terzo periodo fiscale del 2015, gli incassi sono cresciuti del 9.6%. Un fenomeno che non è ovviamente passato inosservato, da parte degli esperti del business della ristorazione a stelle e strisce, e che non ha pari nel mercato d’oltreoceano: rispetto ad altre aziende illustri della galassia del fast food, Arby’s registra dati migliori del 7.4%, pur mantenendo, come evidenziato da Business Insider, un basso profilo rispetto ai giganti conosciuti in tutto il mondo.
Arby’s ha sempre voluto distinguersi, fin dalle origini. Nel 1964, in quel di Boardman, cittadina di trentamila anime dell’Ohio il cui motto è “A Nice Place to Call Home”, i due fratelli Raffel, Forrest e Leroy (dai quali ha origine il nome della catena: Raffel Brothers, ovvero “R.B.”, ovvero “Arby’s”, anche se inizialmente si sarebbe dovuta chiamare “Big Tex”) avevano capito che il mercato del fast food non poteva e non doveva ridursi ai soli hamburger. C’era spazio per altro. Da qui, l’intuizione di dare vita a un locale in cui vendere sandwich, patatine e bibite. Negli anni successivi, l’espansione – con un ritmo, negli anni ’70, che raggiunse persino le 50 aperture all’anno – e le numerose aggiunte nel menù, con sandwich e bistecche, roast beef, bacon, tacchino e mille altre varianti, comprese specialità deli, insalate e le celeberrime “curly fries”, le patate fritte ricurve e arricciate. Oggi Arby’s – che nel 2011 è stata acquisita da Roark Capital Group all’81.5%, mentre il restante 18.5% è della catena Wendy’s – vanta oltre 3400 avamposti, disseminati su tutto il suolo statunitense, oltre che in Canada, Turchia, Emirati Arabi Uniti e Qatar. Non molto fortunate le esperienze in altri territori esteri, dal Giappone al Portogallo, con fugaci apparizioni (per chi si stesse ponendo il quesito: no, in Italia non ci hanno neppure provato).
Il loro piatto di maggior successo, al quale va attribuita buona parte della responsabilità delle recenti fortune della compagnia, è il “Smokehouse Brisket Sandwich” (panino con petto di manzo affumicato, formaggio gouda affumicato, salsa barbecue e anelli di cipolla) introdotto nell’ottobre 2013, capace da solo di aumentare le vendite del 12%. In netta controtendenza rispetto alle filosofie vegane e vegetariane, il motto di Arby’s, regolarmente depositato e registrato, è “We Have The Meats”, “Noi abbiamo le carni”. C’è anche una canzoncina pubblicitaria che lo ricorda. E ne hanno davvero tante, con buona pace degli allarmi della OMS. La mission, invece, è “Ispirare Sorrisi Attraverso Deliziose Esperienze”. Al di là delle operazioni di marketing, sarebbe tuttavia riduttivo etichettarlo come il solito fast food. In pochi sanno che proprio Arby’s è stata la prima catena a introdurre, nel 1991, i menù in versione “light”, per chi cerca pasti con poche calorie, nonché la prima, tre anni più tardi, a proibire di fumare in tutti i suoi locali. E se qualcuno si fosse mai chiesto che fine avesse fatto il bizzarro cappello indossato da Pharrell Williams ai Grammy Awards del 2014, la risposta è proprio Arby’s, che se lo è aggiudicato per 44 mila dollari dopo un famoso scambio di battute su Twitter con il cantante (la somma è poi andata in beneficenza).
Per la compagnia con sede a Sandy Spring, Georgia, le cose sembrano oggi andare a gonfie vele. Per il 2015, sono previste 60 nuove aperture in tutti gli USA (compreso un ristorante a Manhattan), il doppio dell’anno precedente, quattro volte tanto rispetto al 2013. Dopo aver spento le cinquanta candeline lo scorso anno, Arby’s continua la propria ascesa, fatta di scelte vincenti in termini di comunicazione – dall’istituzione di una hotline di supporto ai vegetariani, alle frecciate online con il presentatore Jon Stewart, senza dimenticare uno spot televisivo della durata da Guinness di 13 ore – e di un’offerta che sembra convincere i consumatori, compreso il pubblico più giovane. Se c’è una cosa che caratterizza i clienti della catena, tanto quelli storici quanto i nuovi arrivati, è l’amore per la carne. E da Arby’s, quella, proprio non manca.