C’è gente che “è Charlie” a targhe alterne. Dipende da ciò che l’irriverente settimanale francese pubblica. Per la serie: se la vignetta è di mio gradimento, allora #JeSuisCharlie, altrimenti mi dissocio. Niente di male, per carità. Ma non sarebbe meglio decidere una volta per tutte da che parte stare? Se per la libertà di espressione tout court oppure per la libertà, ma a patto che? No perché sennò non vale.
Da quando è salito agli onori (e agli oneri) delle cronache, dopo il terribile attentato dello scorso anno che ne ha praticamente sterminato la redazione, non c’è stata settimana in cui una vignetta pubblicata su Charlie Hebdo non abbia fatto scalpore o non abbia sollevato un polverone sulla stampa francese e internazionale. Chissà se tutto ciò si sarebbe verificato in tempi non sospetti. Questa volta la triste sorte è toccata ad un disegno firmato Riss che ha per protagonista il piccolo Aylan, il profugo siriano di 3 anni trovato morto sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia, qualche mese fa. L’autore della vignetta immagina cosa sarebbe diventato quel bambino se non fosse morto e, facendo riferimento alle violenze di Colonia, non esita a metterlo nei panni di uno degli autori delle molestie sessuali di quella notte da incubo.
Su Internet, come al solito, basta poco per indignarsi e ovviamente in tanti accusano la vignetta di essere di cattivo gusto o, addirittura, razzista. La zia di Aylan – sarebbe stato strano il contrario – è chiaramente disgustata. In molti non sono più Charlie e ci tengono a sottolinearlo. Ma perché?
Se da una parte è impossibile negare che l’associazione Aylan-Colonia sia stata piuttosto audace e che non faccia ridere neanche un po’ – ammettendo che quest’ultima debba essere una condizione necessaria per una vignetta satirica -, dall’altra è possibile anche tentare una riflessione costruttiva prima di gridare allo scandalo sui social. Proviamo a leggere il disegno in questi termini: Aylan, ovvero il triste simbolo della tragedia dei migranti che qualche mese fa ha commosso il mondo e spinto le istituzioni europee ad aprire il cuore e le frontiere ai profughi di guerra è stato associato all’attuale e sempre più diffuso sentimento xenofobo che tende ad equiparare in maniera automatica un rifugiato ad uno stupratore. L’idea, inutile dirlo, è interessante. E già di per sé rende la vignetta degna di essere pubblicata. Come è possibile che tutti qualche mese fa eravamo lì a piangere e ad indignarci davanti alla foto del corpo senza vita di Aylan, mentre adesso facciamo così poca fatica a considerare quegli stessi profughi degli stupratori? E’ questa la domanda che ci pone Riss, senza rinunciare al tipico stile audace e provocatorio del suo giornale.
Essere Charlie, forse, vuol dire anche questo. Rischiare per essere liberi fino in fondo. Una cosa che la sinistra schiava del politicamente corretto oggi non sa più fare.