Piove e pare autunno. E’ Maggio e qualche anziano, più pratico di me, mi ripete che “L’acqua di maggio fa diventare le donne belle”.
Nonostante l’allettante promessa, ho come la sensazione che la cappa fumosa che attanaglia questo paese sfugga alle risoluzioni politiche e sociali per arginarsi in un malessere del nostro tempo che è la “negatività“. Vi è un orizzonte inesplorato, ben oltre le colonne d’Ercole del nostro pensiero, che meriterebbe il coraggio portato a compimento.
Ci siamo appiattiti su di una realtà fatta di statistiche e numeri. Tutto ciò che non rientra in fasulli e plausibili standard consolidati nel tempo è retropensiero da nascondere, singergia contratta, coito interrotto.
Ridurre, vigliaccamente, questo raccorciamento dell’essere umano ad ipotetiche e faziose crisi – siano esse economiche, sociali, culturali e politiche – sarebbe sminuire chi siamo come esseri umani. Le crisi sono, connaturatamente, epifaniche e rivelatrici. Squarciano, fanno saltare fuori il putridume. Analizzarle e capirle è pre-condizione necessaria per risolvere un problema.
Mi permetto, allora, di riesumare Libertino Faussone de La chiave a stella di Primo Levi. Un eroe romantico.Lavoratore autonomo gira il mondo, su chiamata, per lavoro. La durezza del lavoro metterà più volte a repentaglio la sua vita ma potrà fare affidamento sempre sulle proprie conoscenze e capacità. Un cavaliere armato solo dei suoi strumenti da montatore meccanico.
L’uomo che fa, che agisce, realizza se stesso ed è con il lavoro che si nobilita anche nella sua parte spirituale. Faussone, uomo del fare, dimostra, raccontando al narratore, una profonda conoscenza degli uomini e una grande intelligenza riflessiva. Un uomo semplice, concreto e pieno di entusiasmo, fiero della propria professionalità, in grado di coordinare il proprio lavoro con quello degli altri e di assumersi ogni responsabilità nell’affrontare compiti difficili e pericolosi.
Allora la cura è la fiducia. Non nelle istituzioni, non nelle politiche. Vi è la necessità di una straordinaria fiducia nell’uomo. Ritornare a quella dimensione antropocentrica dove si riscopre chi siamo e di cosa siamo capaci. Rallentare il passo e riappropiarsi della pazienza.
Nulla più.