Banca(rotta)“Salvate il Soldato Banca”: note sulla meritevolezza di tale salvataggio e sulla sua inutilità senza riforma sistemica

Era il 1998 quando Steven Spielberg confezionò un capolavoro di film (dal titolo originale di "Save the Private Ryan", tradotto in italiano come "Salvate il Soldato Ryan"), che gli valse 5 premi Os...

Era il 1998 quando Steven Spielberg confezionò un capolavoro di film (dal titolo originale di “Save the Private Ryan“, tradotto in italiano come “Salvate il Soldato Ryan“), che gli valse 5 premi Oscar.

Da tale straordinaria pellicola abbiamo mutuato (parafrasandolo) il titolo di questo post e la relativa immagine di copertina, che abbiamo rielaborato ed attualizzato per riportarci a parlare della pesante situazione che il sistema bancario italiano sta attraversando.

Già molti commentatori si sono dilungati a descrivere in dettaglio le varie vicissitudini del Monte dei Paschi di Siena e dell’impervio aumento di capitale in corso, nonché le problematiche di altre banche (Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, nonché Unicredit, solo per citare i casi più noti) e della travagliatissima cessione delle good banks in corso.

E’, poi, notizia freschissima (solo di ieri) il fatto che Camera e Senato abbiano dato via libera il Governo a modificare i saldi di finanza pubblica, aumentando il debito fino a un massimo di 20 miliardi di euro al fine di cercare di mettere in sicurezza il sistema creditizio.

Di tutto questo parleremo qui di seguito, ma cercando di adottare un’altra prospettiva, cercando di rispondere a questi tre domande nella maniera più chiara possibile:

1) chi sta salvando chi?

2) è giusto usare soldi pubblici per salvare banche private?

3) siamo sicuri che così le banche siano definitivamente in sicurezza e che i problemi siano tutti risolti?

Al primo quesito si può rispondere molto concisamente, dicendo che, aldilà del caso specifico Monte dei Paschi di Siena (di pressante attualità), a questo punto l’intervento pubblico (lo si chiami, a scelta, come si vuole: “ricapitalizzazione precauzionale“, “burden sharing“, “bail-in” leggero o “bail-out” camuffato… cambia il nome, non la sostanza!) è diventata una quasi certezza.

Il corollario di quanto appena detto è facile da sintetizzare:

il sistema (privato) delle banche ancora una volta ha dimostrato la sua alta statura morale alla prova dei fatti: privatizzare i lauti utili (nel passato) e nazionalizzare i debiti (all’occorrenza).

Ma non era questo che la famosa Direttiva Comunitaria B.R.R.D., quella nota per avere introdotto il “famigerato” bail-in – che ha “azzerato” molte migliaia di risparmiatori delle quattro banche risolte nel novembre 2015 -, voleva evitare o, meglio, impedire del tutto?!?

Non ci sono stati rotti i timpani (diciamo così!) da più di un anno a questa parte (Comunità Europea in testa e, a seguire, Governo, Ministro dell’Economia e delle Finanze, Banca d’Italia, A.B.I., Consob, etc.) che lo Stato (quindi, i contribuenti) non avrebbero più distolto un euro a favore delle magagne causate dagli scellerati banchieri di turno?

Il rigore ed il rispetto della normativa comunitaria valeva solo ed esclusivamente per Banca delle Marche, Banca Etruria, Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di Risparmio di Chieti?

Quindi possiamo affermare come “certificato”, senza ombra di dubbio alcuno, che esistono risparmiatori di Serie A e di Serie B o, forse, addirittura di Serie C, pardon, di Lega Pro (adesso si chiama così)!

E questo ci riporta dritti al secondo quesito: è giusto (ovvero etico) salvare con soldi pubblici banche private?

Diciamo subito che il concetto “giusto/etico” è attinente ad una categoria (quella morale) che nulla a che vedere con la finanza.

Viene davvero da sorridere quando di parla di “finanza etica“: è palesemente un ossimoro (dal greco ὀξύμωρον, composto da ὀξύς, «acuto» e μωρός, «ottuso»), il quale è una figura retorica che consiste nell’accostamento di due termini di senso contrario o comunque in forte antitesi tra loro, quale, ad es., il celebre “silenzio assordante” di alcuni autori.

Checché se ne dica, banche ed etica sono due categorie difficilmente conciliabili, finchè i banchieri (non i bancari) continueranno ad essere guidati solo dalla logica del profitto a tutti i costi a scapito della correttezza deontologica e degli scrupoli professionali, come ben evidenziato dalla cronache giudiziarie più recenti!

Il problema, quindi, non è se sia “giusto” salvare le banche (perché la risposta è facile: no, non corrisponde a criteri di giustizia sociale!), ma semmai se sia “doveroso” per uno Stato, che abbia a cuore gli interessi dei propri cittadini, intervenire a “puntellare” i dissesti di banche, sistematicamente importanti e non.

E allora se si vuole dare una risposta a questa domanda, che la risposta sia “sì” o “no”, l’unica cosa veramente importante ed auspicabile sarebbe una linea d’azione coerente.

Il legislatore comunitario (e, di rimando, quello nazionale) che discrimini gli interventi possibili a seconda che la banca sia “sistemica” (in gergo S.I.F.I., ovvero “Systemically Important Financial Institution“: in altre parole, “too big to fail“) o “non sistemica” ha già creato un solco profondo con il sentire comune del risparmiatore, secondo il quale il fatto che i suoi risparmi sia detenuti in una piccola Cassa di Risparmio locale o nella filiale di un enorme Gruppo Bancario è del tutto (e giustamente) indifferente!

Altrimenti si dia pubblicamente una lista di istituti bancari “bail-inable” (come un orribile gergo tecnico è solito dire, cioè: ente soggetto al bail-in) e “non bail-inable“, cosicché i risparmiatori sappiano che in quella banca si può o non si può (a seconda dei casi) dormire sogni tranquilli.

Il vero problema è il guazzabuglio che è stato creato con una legislazione che crea “figli” e “figliastri”, a tutto beneficio dei soliti “figli di papà” (nella metafora: le banche sistemiche, vale a dire i colossi finanziari che sono al di fuori di ogni possibile controllo degli organi di vigilanza), e – come non bastasse già questo – della differente applicazione di tali norme schizofreniche all’interno dei vari Stati dell’Unione Europea (si veda ad es. il precedente post dal titolo Il bail-in? Roba per le banche italiane, ma non per quelle tedesche: la conferma della B.C.E.).

In questo senso, quindi, sono sì arroganti ed intellettualmente poco onesti quei Paesi che hanno in passato (e stanno continuando a fare anche ora!) le proprie banche con soldi pubblici, ma assai pragmatici e, forse, di buonsenso, anche perché hanno affiancato a tali provvedimenti punizioni esemplari per i cattivi amministratori di tali istituti.

Quindi potremmo in definitiva rispondere: è sbagliato salvare le banche con soldi pubblici, ma è assolutamente doveroso proteggere il pubblico risparmio e le due cose sono “perversamente” sovrapposte, cosa ben nota a molti banchieri opportunisti e privi di scrupolo.

La qual cosa ci porta dritti al terzo ed ultimo quesito iniziale, i.e.: siamo sicuri che così le banche siano salve e che i problemi siano tutti risolti una volta per sempre?

Risposta molto secca e diretta:

no, non siamo sicuri per nulla che con questo intervento pubblico il sistema bancario sia messo in sicurezza definitivamente!

Anzi probabilmente con questa categoria di amministratori bancari fra un po’ dovremmo fronteggiare situazioni analoghe, anche perché gli Organi di Vigilanza latitano (BCE, Banca d’Italia, Consob in testa, ma non solo…!) e le normative bancarie sono tutto tranne che chiare e trasparenti e lasciano moltissimi problemi aperti, primo fra tutti il ridicolo modo di gestione del conflitto di interessi dei membri del C.d.A., che tanti disastri ha creato nelle tasche dei risparmiatori delle quattro banche “risolte” e non solo lì.

Crisi come quelle che stiamo vivendo, aldilà della innegabile congiuntura economica molto sfavorevole, sono figlie di un establishment bancario di cui abbiamo avuto modo di parlare ampiamente in precedenti posts quali, ad es., La “Nuova” Banca Etruria (con le altre 3 banche “risolte”) fra mezze verità, trasparenza assente ed un futuro incerto: tutto sommato “nuova” banca, ma “vecchie” abitudini o Il vaso di “Bancora”: brevi note sul credito deteriorato delle banche e sui più che legittimi dubbi circa i numeri ufficiali, cui rimandiamo per i relativi approfondimenti.

Se non ci sarà un radicale cambiamento di rotta e di uomini (che attualmente non si vede all’orizzonte) nei vertici delle istituzioni bancarie e degli istituti di vigilanza (Banca d’Italia e Consob in primis) difficilmente la soluzione-tampone di oggi eviterà cicliche crisi future, magari ancora peggiori e più devastanti.

Chiudiamo, quindi, con una nota sulle prospettive future: dal maggio 2015, quando il Governo (Renzi, allora) recepì, con la solita “calma”, la Direttiva U.E. denominata C.R.D. IV, nella quale, fra le altre cose, si fissano requisiti di onorabilità più stringenti per i banchieri, ancora siamo in attesa (a distanza di un anno e mezzo) che il Ministro Padoan emani il decreto attuativo per rendere tale Direttiva operativa.

Ed allora viene da farsi una semplice domanda:

si parla giustamente di salvataggi delle banche in crisi, ma, quando ci sono strumenti più stringenti ed efficaci al fine di responsabilizzare ed eventualmente punire i banchieri, tali provvedimenti languono inoperosi a prendere muffa al chiuso dei cassetti ministeriali: c’è da essere ottimisti?!?