Mentre i media tradizionali continuano a scommettere sui cavalli sbagliati – la stampa francese, di destra e di sinistra, ha plebiscitato prima Alain Juppé (fatto fuori alle primarie), poi la “rivelazione” François Fillon (indebolito dallo scandalo su sua moglie), ora l’enfant prodige Emmanuel Macron (sarà la volta buona?) -, i politici si dimostrano molto più furbi di loro e li bypassano su Internet, in particolare sui social network, andando a prendersi i voti direttamente alla fonte, in barba alle analisi degli editorialisti e dei politologi. Non è un caso, infatti, che, tra i candidati rimasti in lizza per le Presidenziali, ci siano delle vere e proprie webstar.
A volerla dire tutta, non è un caso neanche che i più seguiti sui social network siano i leader più estremisti: Jean-Luc Mélenchon a sinistra e Marine Le Pen a destra, che sono da due a tre volte più popolari dei loro avversari. Il primo conta quasi un milione di follower su Twitter e quasi 14 milioni di visualizzazioni su YouTube (ovvio che dall’alto dei suoi numeri si sia mostrato totalmente impermeabile all’ipotetica convergenza con Hamon, il candidato del Partito socialista). Lo stesso discorso vale per Marine Le Pen, che da tempo ha superato il milione di abbonati sia su Twitter che su Facebook, alla faccia di chi pensa che comunisti e nazionalisti siano roba da vecchi nostalgici. Al confronto con Mélenchon, capace di lanciare la sua campagna presidenziale sottoforma di ologramma, Emmanuel Macron – il “nuovo che avanza” – è uno sfigato che non sa neanche usare il mouse.
Se è vero che i partiti più piccoli – che un tempo coincidevano anche con quelli più estremi – trovano meno spazio nei media tradizionali e che quindi sono naturalmente portati a ricercare il consenso per vie alternative, è vero anche il contrario. Programmi elettorali come quelli di Mélenchon e Le Pen, infatti, così diversi da quelli più “ragionevoli” dei loro colleghi moderati, a volte perfino un po’ stravaganti e/o meno credibili, sono anche i più efficaci in termini numerici sui social, proprio perché nella twittosfera vige il valore assoluto dell’entertainment e delle battute a effetto. Al colpo di grazia, tra l’altro, ci pensano gli stessi media tradizionali, che impaginano i loro notiziari e costruiscono i loro talk show proprio su quei tweet estremi e provocatori, alimentando il circolo vizioso. Ovvio che Donald Trump abbia deciso di continuare ad utilizzare il suo potentissimo profilo Twitter anche dopo aver vinto le elezioni – quale capo di stato getterebbe nel cestino uno strumento di propaganda personale on demand così efficace?
Niente di illegale in tutto questo, intendiamoci. Ma se sarà la politica (e i suoi contenuti) a doversi adattare al codice comunicativo dei social e non viceversa, cosa dovremo aspettarci?