Serialità ignorataIn memory of Telefilm Magazine, il punto di riferimento dei serial-addicted

Questo è il mio personale tributo alla rivista che scrissi in occasione del decimo anniversario della distribuzione del numero zero al Festival del Cinema di Venezia del 2004. Oggi la rivista, che ...

Questo è il mio personale tributo alla rivista che scrissi in occasione del decimo anniversario della distribuzione del numero zero al Festival del Cinema di Venezia del 2004. Oggi la rivista, che ha cessato le pubblicazioni nel 2012, compirebbe 14 anni. Telefilm Magazine per otto anni è stato il principale punto di riferimento cartaceo per gli aficionados seriali quando le serie si guardavano ancora in tv o DVD e Netflix non era ancora un fenomeno globale. Kleenex in mano e giù lungo memory lane…

Dieci anni fa, in questi giorni, veniva presentato alla Mostra del Cinema di Venezia un ambizioso progetto editoriale: il Telefilm Magazine. Gratuitamente veniva distribuito il numero zero della rivista che sarebbe arrivata nelle edicole a novembre. Una rivista ideata dall’Accademia dei Telefilm di Leo Damerini e Fabrizio Margaria, che da due anni organizzavano il festival milanese. Ne appresi sulle pagine de La Stampa, dall’ottima Alessandra Comazzi. Alla notizia, misi su il broncio: era lo stesso nome dei bollettini che impaginavo con Word, quelli che appioppavo a parenti e amici cui scucivo complimenti forzosi e insinceri. Infantilmente, sentivo puzza di plagio. Allo stesso tempo, però, non potevo che esibirmi in uno sfrenato ballo della felicità tutto interiore: non solo una rivista votata al culto seriale, ma anche una conferma dell’esistenza del “giornalista seriale”, prendendo a prestito la definizione di Alessia Barbiero di Linkiesta. Non un giornalista qualunque, che discetta di intrighi politico-amministrativi che nulla mi dicevano e mai nulla mi hanno detto. Ma uno che racconta spaccati di vita appigliandosi allo spessore della scrittura televisiva, sminuzzando il testo (tele)filmico per ricavarvi le interpretazioni più cavillose e ragionate. Il giornalista che volevo diventare. Rivista alla mano, ho avuto prova di una redazione affiatata, la cui affinità trasudava da ogni articolo, ogni rubrica. Non un semplice gruppo di lavoro, ma una famiglia di maniaci seriali. Come me. E lì è sbocciato il sogno: anch’io ne volevo far parte. Una di quelle puerili fantasticherie destinate a restare tali, l’obiettivo mancato che ti desta il groppo in gola, pensavo. E invece, sette anni dopo l’ho realizzato per davvero, quel sogno. In punta di piedi, ho esordito sulle pagine con un pezzo su Nikita. Poi ho conosciuto i vari giornalisti, intavolando un dialogo costante e proficuo, seppur via web. Gli stessi da cui avevo appreso tecnicismi e regole di scrittura leggendoli, ora mi impallinavano di consigli schietti e diretti, con la complicità di uno di famiglia. E ho realizzato che erano esattamente come si descrivevano negli articoli, niente infingimenti, nessuna maschera. Una rarità nel mondo del giornalismo, ho constatato col senno di poi. Arrivare a collaborare fino all’ultimo, affannoso respiro editoriale, consacrarmi come tassello, benché infinitesimale, nella storia di quella che rimane a tutt’oggi la bibbia per gli aficionados seriali, è più di un onore. E tuttora penso che se non riuscissi a concretizzare tutti i sogni, un obiettivo – bello grosso – non posso dire di non averlo realizzato.
Buon compleanno, Telefilm Magazine! (Sperando, un giorno, di riportarti in vita…)

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